La portalettere, Francesca Giannone: «Vi racconto la storia della mia bisnonna, la prima postina del Salento»

Il suo fulminante romanzo d'esordio è un vero caso editoriale: è in classifica da quando è uscito, lo scorso 10 gennaio, ed è già alla settima edizione

La portalettere, Francesca Giannone: «Vi racconto la storia della mia bisnonna, la prima postina del Salento»
di Riccardo De Palo
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Domenica 5 Marzo 2023, 07:36 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 12:04

«Mentre lavoravo mi ripetevo una frase di Hemingway: "scrivi la cosa più autentica che sai"». Francesca Giannone racconta come è nato La portalettere. Il suo fulminante romanzo d'esordio è un vero caso editoriale: è in classifica da quando è uscito, lo scorso 10 gennaio, ed è già alla settima edizione. Non solo: presto l'epopea di Anna Allavena - la donna ligure che piomba in Salento e diventa la prima postina del Meridione, creando grande scandalo negli anni Trenta - diventerà una serie tv, prodotta da una casa di produzione romana.
Per la casa editrice Nord, è il quarto colpo del genere, messo a segno dalla direttrice editoriale Cristina Prasso. Dopo l'enorme successo di Stefania Auci e dei suoi Leoni, in due volumi bestseller dedicati ai Florio, sono seguite altre due saghe familiari, quella dei Casadio (La casa sull'argine di Daniela Raimondi) e quella dei Crespi (Al di qua del fiume di Alessandra Selmi). La portalettere è ispirato alla vera storia della bisnonna dell'autrice, della famiglia Greco e della comunità di Lizzanello, piccolo paese alle porte di Lecce.

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Come è nato questo romanzo?
«Probabilmente senza il lockdown non sarebbe venuta fuori questa storia.

Tutti in quel periodo abbiamo fatto pulizia, rovistato cassetti. Io stavo aiutando mia madre a pulire dei mobili quando è venuto fuori un immenso tesoro. C'era un biglietto da visita vecchio di cent'anni della mia bisnonna. E poi antiche foto in bianco e nero, documenti, lettere d'amore. Per settimane mi sono messa a spulciare tutto quello che c'era. Avevo trovato un mondo».


È su questi documenti che si basa la sua ricostruzione?
«Sì, e anche sui racconti di mia madre, depositaria di tante cose in famiglia. Lei possiede ancora il mortaio che Anna usava per triturare il basilico, che conserviamo come un cimelio. E poi, ho chiacchierato tantissimo con gli anziani del paese, che all'epoca erano bambini. Si ricordavano tutti di questa donna, che loro chiamavano "la forestiera". Un soprannome che le è rimasto fino alla fine dei suoi giorni. Ho raccolto queste testimonianze e fatto tanta ricerca storica sul Salento di quegli anni, soprattutto sugli anni Trenta, e poi oltre, fino agli anni Sessanta».


Si tratta della prima portalettere del Salento?
«Del Salento sicuramente. Ipotizzo anche della Puglia, visto che non ci sono altre testimonianze di postine donne, all'epoca. Neppure negli archivi postali».


Anna faceva davvero scrivere messaggi segreti sotto i francobolli?
«Mi sono ispirata a due amanti che a quel tempo comunicavano in quel modo. Ho usato anche tante fotografie per ricostruire le scenografie, e i costumi di quel periodo. Sono partita da lei e poi ho costruito la famiglia».


Com'era la sua bisnonna?
«Sicuramente antifascista e progressista. Nella terza parte del libro fonda una casa delle donne per aiutare persone in difficoltà, analfabete, vittime di violenza domestica, oppure che avevano perso il marito in guerra ed erano rimaste senza fonti di sostentamento per sopravvivere. Lei aiutava le donne nel privato, io nella finzione letteraria la immagino fondare questa struttura con molti anni di anticipo, rispetto agli anni Settanta, quando nascono tante case delle donne».


Non deve avere avuto vita facile, in paese, no?
«Sì e non si è mai integrata veramente, malgrado avesse questo ruolo di collante sociale: entrava nelle case di tutti, leggeva le lettere agli analfabeti...»


Quali tappe ha toccato prima di scrivere "La portalettere"?
«Ho studiato a Lecce Scienze della Comunicazione. Ho vissuto a Roma per sei anni, ho frequentato il Centro sperimentale di cinematografia. All'inizio volevo fare cinema. Il desiderio di scrivere è arrivato dopo, quando ho frequentato la scuola di scrittura di Carlo Lucarelli, Bottega Finzioni. A Bologna ho lavorato con il Fondo Luigi Bernardi, c'era un enorme archivio di libri e fumetti da riordinare. Fu lui far esordire autori come Magnus...»


E poi?
«Sono tornata a Lizzanello, dove si svolge la storia del libro. Dipingo anche, ma sono un'autodidatta, la vedo come un gioco. Ho venduto molti quadri negli Stati Uniti, tra New York e Los Angeles. Magari sarà partito un passaparola...»


Sta già pensando a un seguito?
«C'è uno spiraglio nell'epilogo, che si svolge nel 61, che può far pensare a un seguito. Vedremo. Intanto, i diritti di questo libro sono stati opzionati da una grossa casa di produzione cinematografica romana - non posso ancora dire quale - che vuole farne una serie tv. C'è stata un'asta piuttosto agguerrita, con cinque concorrenti».


Ispirazioni letterarie?
«Amo follemente Elena Ferrante, la trilogia dell'amica geniale. Ma non ho provato a scrivere come lei. Ho cercato la mia voce, e per la prima volta è venuta fuori».


Come si spiega tutto questo successo?
«Le emozioni di chi scrive arrivano anche a chi legge. Quando ho scritto l'epilogo, ho pianto. E, come me, tanti mi hanno scritto di essersi commossi leggendo quelle pagine».


Come l'hanno presa in paese?
«In realtà benissimo. E sono contenta perché finalmente, dopo tanti decenni, la comunità rende omaggio a una concittadina che, nel suo piccolo, ha contributo a fare la Storia».

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