Brando De Sica, il figlio di Christian debutta come regista: «Per il mio primo film ci ho messo 10 anni. Papà? Non mi ha mai aiutato, non volevo favoritismi»

Il film è una favola dark, o meglio un horror romantico che, sulla scia di successi come Twilight e Lasciami entrare

Brando De Sica, il figlio di Christian debutta come regista: «Per il mio primo film ci ho messo 10 anni. Papà? Non mi ha mai aiutato, non volevo favoritismi»
di Gloria Satta
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Sabato 11 Novembre 2023, 06:43 - Ultimo aggiornamento: 06:45

«Ci ho messo dieci anni per dirigere il mio primo lungometraggio ma sono felice di avercela fatta da solo, senza l'aiuto di nessuno». Brando De Sica, primogenito quarantenne di Christian e nipote di Vittorio, cioè la terza generazione di una grande dinastia cinematografica (a cui si aggiunge la madre Silvia Verdone, sorella di Carlo) è un fiume in piena: la sua opera prima Mimì - Il principe delle tenebre sarà nelle sale il 16 novembre e il neo-regista, una laurea a pieni voti in cinema «ricevuta dalle mani di Clint Eastwood» presso la University of Southern California di Los Angeles, non trattiene l'entusiasmo. Il film è una favola dark, o meglio un horror romantico che, sulla scia di successi come Twilight e Lasciami entrare, punta su protagonisti giovanissimi: Mimì, pizzettaro napoletano orfano nato con i piedi deformi (lo interpreta il 19enne Domenico Cuomo, il Cardiotrap della serie-cult Mare Fuori) e Carmilla (Sara Ciocca) una ragazzina convinta di discendere dal conte Dracula. Insieme, tra amore e sangue, sogni e delusioni, decidono di fuggire da un mondo troppo cinico e violento.


Perché ha impiegato tanto tempo per realizzare il film?
«La storia l'avevo immaginata 10 anni fa, 2 anni dopo ho scritto la sceneggiatura poi sono nati problemi con la produzione di allora e il progetto è abortito.

Ma io ho tenuto duro e finalmente, grazie a Indiana, Bartleby e RaiCinema, ho potuto realizzarlo utilizzando una troupe di giovani».


Suo padre non poteva darle un aiutino?
«Scherziamo? Ho voluto conquistarmi il rispetto senza ricevere favoritismi o regali da nessuno. Avevo girato come ghost director due film di papà, Amici come prima e Sono solo fantasmi, ma mi sono rifiutato di firmarli anche se, grazie ai 9 milioni incassati dal primo, non avrei faticato a trovare un produttore. Ma non sarebbe stato corretto nei confronti degli altri giovani registi senza entrature. Tanto più che papà, avendo lavorato quasi solo con Aurelio De Laurentiis, non ha mai fatto parte di un "giro"».


Perché teneva tanto a girare "Mimì principe delle tenebre"?
«La storia mi è venuta fuori dal cuore quasi a livello inconscio, un po' come tutti i miei progetti. Il tema dominante è la ricerca dell'identità, comune a tanti ragazzi ma non solo: anch'io, come regista, cerco il mio posto nel mondo. E i piedi deformi del protagonista rimandano all'esigenza di equilibrio che sembra tanto difficile da raggiungere per i teenager di oggi che sono spesso in ostaggio di droga, pulsioni suicide, isolamento determinato dai social».


Perché per debuttare ha scelto il registro dark, anzi l'horror?
«È il genere su cui mi sono formato sia leggendo i romanzi di Poe, Verne, Dahl sia vedendo i film suggeriti da mio zio Manuel e da mio padre che, piccolissimo, mi fecero vedere Dracula il vampiro con Christopher Lee. Ma ho deciso di studiare regia grazie a nonno Mario Verdone, storico del cinema, che mi ha messo in mano molto presto il libro-intervista di Truffaut a Hitchcock. Una folgorazione».


Avendo una formazione cinefila, come giudica i cinepanettoni di suo padre?
«Sono degli autentici cult. Papà è stato geniale a farli. È un uomo di spettacolo completo, uno stakanovista, un fuoriclasse capace di passare dalla commedia al dramma con lo stesso talento».


Che significa incarnare la terza generazione De Sica?
«Un onore e una responsabilità, ma in famiglia siamo molto rilassati su questa appartenenza. I miei mi hanno sempre incoraggiato ad essere me stesso. In un mondo in cui tanti figli d'arte occupano posti molto più importanti, cruciali per la società, noi del cinema dobbiamo dimostrare il nostro valore».


È mai stato oggetto di pregiudizi?
«Qualche volta, ma chi mi conosce sa che ho studiato e lavorato tanto prima di dirigere Mimì - Il principe delle temebre: ho fatto da assistente a Pupi Avati e Matteo Garrone, girato dei corti, realizzato spot con Bella Hadid. Insomma, ho alle spalle una gavetta intensa».


Come ricorda l'esperienza all'università americana?
«È stato un periodo bellissimo, ho passato a Los Angeles 8 anni. Tra i miei maestri c'era David Lynch che non solo mi ha regalato un suo quadro, ma mi ha anche insegnato la meditazione trascendentale. Mi è stata molto utile, oggi ho aggiunto la pratica yoga».

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