Morti, bombe e gambizzazioni lo scontro per prendersi Latina

Morti, bombe e gambizzazioni lo scontro per prendersi Latina
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Martedì 23 Febbraio 2021, 05:01
LA RICOSTRUZIONE
I tasselli de puzzle stanno andando a posto, uno dopo l'altro. «Quello che è accaduto a Latina fa impressione, su questo territorio è cresciuta una organizzazione criminale di stampo mafioso che agiva con metodo e finalità mafiose pur non essendo collegata a organizzazioni come mafia, ndrangheta e camorra» racconta il capo della squadra Mobile Giuseppe Pontecorvo che ha portato a termine - lavorando con i pm della Direzione distrettuale antimafia di Roma, il procuratore aggiunto Ilaria Calò e i sostituti Luigia Spinelli e Corrado Paganelli - le indagini iniziate tanti anni da dal suo collega Cristiano Tatarelli e poi proseguite da Tommaso Niglio e Carmine Mosca. Ora l'ordinanza di custodia cautelare dell'operazione Moro firmata dal gip Francesco Patrone completa la ricostruzione di 18 anni di delitti.
L'INIZIO
«Può ritenersi che la cosiddetta guerra criminale pontina tragga origine dall'omicidio di Ferdinando Di Silvio detto il bello, avvenuto sul lungomare di Latina il 9 luglio del 2003, mediante l'esplosione di un ordigno posto all'interno dell'autovettura a lui in uso». Ma ci sono voluti poi sette anni però, dal 2003 al 2010, perché la guerra esplodesse davvero perché «nonostante - scrive il gip citando la richiesta di misure cautelari - i familiari del defunto Di Silvio attribuissero la responsabilità dell'omicidio al gruppo criminale facente capo al pregiudicato Carlo Maricca, non si registrarono atti ritorsivi diretti contro quest'ultimo, seppur progettati dai congiunti, come le indagini del tempo rivelarono». Il motivo della guerra era sempre lo stesso. C'era il clan Ciarelli Di Silvio. E c'erano gli altri. In ballo il potere criminale. E' così che si arriva a tre giorni di fuoco a fine gennaio 2010. la mattina alle 7.30 un commando spara a Carmine Ciarelli mentre è seduto al bar Sicuranza, a Pantanaccio, nel suo quartiere. Un attacco simbolico che non resta impunito. La sera stessa Moro viene ucciso. E la sera dopo anche Fabio Buonamano, detto Bistecca. Nei 5 mesi che seguono ci sono altri sei agguati. Il sei marzo il tentato omicidio di Fabrizio Marchetto: quella sera la Mobile arresta Simone Grenga e Andrea Pradissitto, «rispettivamente generi dei pluripregiudicati Carmine e Ferdinando Ciarelli» con le armi in pugno nei pressi della casa di Marchetto, «esponente di spicco della fazione avversa». Il 7 aprile viene gambizzato Alessandro Zof. Il 19 aprile si verifica una sparatoria «presso l'abitazione di Velia Casemonaco e Alessandro Anzovino», vengono esplosi 20 colpi di pistola e «Ferdinando Ciarelli senior, detto Furt minacciava di morte altri due pregiudicati locali, Angelo e Salvatore Travali» che verranno poi condannati nel 2016 per l'inchiesta Don't Touch. A maggio è la volta del tentato omicidio di Silvio Savazzi e Maurizio Santucci, cognato di Buonamano. Altri sette giorni e si spara di nuovo: i killer tentano di uccidere Francesco Alessandro Annoni. Anche lui come Savacci e Santucci sono vicini al gruppo capitanato da Nardone legato ai clan campani. Poi entra nel mirino Gianfranco Fiori, «individuato dalla famiglia Ciarelli come colui che aveva materialmente sparato a Carmine».
Ormai è giugno. A quel punto i Di Silvio hanno vinto la guerra criminale e si «imponevano sul territorio pontino». Il gruppo rivale che faceva riferimento a Mario Nardone e Massimiliano Moro è sconfitto. Quest'ultimo che voleva «acquisire il pieno controllo delle attività criminali sulla piazza di Latina» finisce con due colpi in testa. La ricostruzione di cosa avvenne in quel periodo è stata possibile attraverso anni di indagini e anche singole sentenze. Ma sono serviti i due pentiti, Renato Pugliese e Riccardo Agostino, a chiarire definitivamente il quadro complessivo di questa lunga scia di sangue.
Pugliese era - dicono gli inquirenti - uno dei fedelissimi di Moro. Mentre Agostino ne era stato vittima, gambizzato il 10 agosto 2006 davanti ai Gufi. Tra i due ci fu anche un chiarimento e lo organizzo Ermanno D'Arienzo, detto Topolino, uno degli uomini d'oro, nonché padre di Erik, il ragazzo trovato in fin di vita lungo la Pontina e morto in ospedale dopo una settimana di coma. Tanti, tantissimi episodi, tutti collegati.
Moro, rientrato dal Venezuela dove era rimasto latitante dopo la morte di Raffaele Micillo, era tornato nel 2005 deciso a prendersi Latina. Come racconta oggi Pugliese, era stato l'autore di numerosi agguati, tra cui il ferimento a colpi di pistola del titolare di una rivendita di cornetti, deciso dopo «il mancato pagamento di una estorsione», o la bomba lanciata nel giardino della villa di Maurizio De Bellis. Del gruppo di fuoco organizzato da Moro facevano parte sei persone e c'era anche Renato Pugliese. Quando Moro si sente abbastanza forte decide di attaccare Carmine Ciarelli, ma il clan lo condanno a morte.
Vittorio Buongiorno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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