L'inchiesta sull'Eni, l'ipotesi dei pm: «Fondi neri con i soldi dell'evasione»

L'inchiesta sull'Eni, l'ipotesi dei pm: «Fondi neri con i soldi dell'evasione»
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Mercoledì 1 Ottobre 2014, 06:07
LE INDAGINI
ROMA Per il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani e il pubblico ministero Mario Palazzi, i soldi che l'Eni non ha pagato al fisco tra il 2007 e il 2014 potrebbero avere costituito un bacino di fondi neri. A chi sia stato destinato il denaro «risparmiato» non è ancora chiaro, ma è proprio questo l'oggetto delle indagini del nucleo di polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, che vuole anche quantificare quanto sia stato evaso in accise. Ieri, su mandato della procura, i militari si sono presentati, con un decreto di perquisizione, nelle abitazioni e nell'ufficio di Angelo Caridi, direttore generale della Divisione Rifting & Marketing Eni dal 2007 al 2010, oggi in pensione, ma ancora consulente dell'azienda. A giugno, era toccato all'attuale dg Eni Refining & Marketing, Angelo Fanelli, e al suo vice, Domenico Elefante. Le accuse, anche per Roberto Turriziani, titolare dell'azienda che trasporta il carburante, sono di associazione a delinquere finalizzata alla sottrazione del pagamento delle imposte sui prodotti energetici.
IL DECRETO

Si legge nel decreto di perquisizione: «Emergono gravi indizi del fatto che, all'interno degli uffici, quanto meno della divisione Rifting & Marketing dell'Eni di Roma, vi siano soggetti che oramai da anni evadono le accise su carburanti caricati in eccedenza sulle autobotti destinate ai distributori appartenenti o meno alla rete Eni. Ciò avviene necessariamente sulla scorta non di un semplice accordo criminale, meramente occasionale e accidentale, ma di un accordo diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso per la commissione di una serie indeterminata di delitti. Risulta acclarato, infatti, come i carburanti in eccedenza vengano comunque fatturati all'acquirente dalla proprietaria Eni e immessi sul mercato. E' necessario, a questo punto, comprendere a chi sia destinato il denaro risparmiato derivante dal mancato versamento per l'intero delle accise su essi dovuta, ben potendosi ritenere, ad esempio, che esso venga impiegato in attività non lecite, trattandosi di provento di reato. Certo è infatti che nessuno, in Eni, ha mai assunto iniziative per ovviare anche solo tardivamente agli omessi versamenti dell'accisa e ciò anche dopo che la stessa società è stata interessata dai provvedimenti di ispezione e acquisizione di documentazione della procura di Frosinone». Dai depositi, sistematicamente, sarebbe uscita più merce di quella dichiarata sui documenti di trasporto. L'inchiesta è nata nel 2011, dopo alcuni controlli sulla coincidenza tra il peso effettivamente caricato e quello indicato sul documento di accompagnamento fornito al momento del carico dalla raffineria Eni di Livorno alle autobotti di Turriziani. Finora sono stati calcolati 2 milioni di euro circa di evasione. Ma la cifra potrebbe essere molto più elevata.
L'Eni replica: «Sebbene si tratti di attività industriale di non particolare rilevanza, della ex direzione generale refining & marketing, Eni presta la massima attenzione al tema e assicura piena collaborazione alle autorità».
Valentina Errante
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