Wednesday Martin racconta l’upper class newyorchese: «I riti di Manhattan delle mamme Alfa»

Wednesday Martin racconta l’upper class newyorchese: «I riti di Manhattan delle mamme Alfa»
di Angela Maria Piga
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Sabato 4 Giugno 2016, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 6 Giugno, 14:52
Esce anche in Italia il best-seller tradotto in 12 Paesi dell’antropologa e scrittrice newyorchese Wednesday Martin Nella giungla di Park Avenue (ed. Bookme - De Agostini Libri, 2016). Il libro, che sarà presto un film prodotto dalla MGM e dall’autrice, è autobiografico, e narra i sei anni vissuti dalla Martin col marito e i figli nel quartiere più ricco e glamour del mondo, Park Avenue, nell’Upper East Side di Manhattan. Un ritratto in cui la scrittrice svela riti, metodi e lotte degne di tribù primitive portate avanti da madri definite le “Geishe di Manhattan”, attaccate con unghie e denti a codici sociali d’acciaio, i cui riti, dalle pratiche igienico-estetiche alla caccia all’ultima borsa Hermès o alla scuola prestigiosa per figli da esibire come status-symbol, sono analizzati dall’occhio scientifico della Martin. Il risultato è un quadro esilarante che mette a nudo lo stile di vita di un’élite a cui l’intero pianeta ha sempre ambito a guardare.
Cosa porta un’antropologa a interessarsi delle madri del quartiere più esclusivo del mondo?
«Mi sono resa conto che il mondo delle madri dell’Upper East Side aveva una cultura a se stante, con le sue specifiche uniformi, flussi migratori, i propri credo su come allevare figli, su bellezza, matrimonio. Queste donne erano così glamour, competitive e agguerrite, che mi sono detta ci dovesse essere un codice culturale da decifrare, e l’antropologia – culturale, biologica e primatologia – era uno strumento naturale per via del mio training accademico».
Chi sono queste donne?
«Il gruppo di donne con bambini piccoli che ho studiato vivono in un’area di circa 1.000 kmq in una nicchia di sovrabbondanza, erano altamente istruite e stavano a casa coi figli piuttosto che lavorare».
Cosa rende diversa l’élite di oggi dalla precedente? 
«Il consumo cospicuo, l’ostentare apertamente la ricchezza rispetto a una generazione precedente che aspirava al sangue blu, newyorchesi con un approccio discreto alla ricchezza. Oggi si tratta di un potlach (ndr: usanza presso nativi americani in cui nelle cerimonie il padrone di casa offre regali agli ospiti secondo il loro status)».
Come spiega questa competitività accanita al punto da diventare tribale?
«Quando le persone vivono in uno stato di rilassatezza ecologica – liberi da predatori, malattie mortali e necessità di cacciare e accaparrare per garantirsi calorie – sono liberi di investire pesantemente sui loro discendenti, e creare complessi ed elaborati codici sociali, riti e rituali».
Come si dividono i ruoli uomo e donna in questa campo di battaglia?
«Il gruppo che io ho studiato praticava la segregazione sessuale: uomini e donne vivevano in mondi separati (quando i figli erano piccoli) e le madri stavano a casa. Persino agli eventi sociali vigeva un elemento, spesso pronunciato, di separazione dei sessi. A molte cene uomini e donne sedevano in sale diverse, e c’erano pranzi di beneficenza solo per donne. In un certo modo si tratta di una politica sessuale retrograda».

 
Perché la competizione verte sui figli?
«Oggi l’identità si forma sulla genitorialità, che è diventata una vocazione, un lavoro a tempo pieno. Nella generazione precedente, le persone avevano figli e basta, oggi essere genitori è un’identità sociale».
Perché le donne sono dominanti?
«Nell’ambito dei comportamenti sessuati, nelle società normalmente gli uomini sono maggiormente presenti delle donne, questo spinge l’uomo a corteggiare una donna. Nel gruppo che ho studiato, quello newyorchese, per ogni uomo in età riproduttiva ci sono due donne in età riproduttiva. Questo fa sì che l’uomo può scegliere, e che la competizione è fra donne. Si tratta della crescita della competizione intrasessuale, presente anche in natura, quando i maschi combattono fra loro per ottenere la femmina. Ecco, nell’Upper East Side, a Park Avenue, la competizione fra donne è al massimo dell’aggressività e avviene a colpi di borse.
Più di altri status-symbol? 
«Sì: le borse sono un accessorio, un surplus, non devi averle, perciò averla è segno di lusso. E a New York non si guida, la borsa la porti al braccio, tutto il mondo la vede, è più facile da esibire di vestiti o capelli».
Qual è l’attributo principale di queste donne?
«Massimo perfezionismo! È quello che la sociologa femminista Sharon Hays chiama “maternità intensiva” - l’implacabile aspettativa che siano le madri da sole ad allevare i figli, e a valorizzare costantemente le loro vite misura per misura. E questo non è piacevole, né per le madri né per i bambini».
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