Un partito smart per riprendersi il voto dei giovani

Un partito smart per riprendersi il voto dei giovani
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Lunedì 7 Novembre 2016, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 02:27
dal nostro inviato Mario Ajello
FIRENZE - Quando Matteo Renzi grida contro il «governicchio tecnichicchio» che D’Alema - «bleh...», «buhhhh...», pernacchie e improperi dalla platea peggio che si trattasse di un qualsiasi Grillo o grillino - e altri suoi avversari vorrebbero costruire in caso di vittoria del Sì, sta svelando il punto debole del renzismo alla vigilia del referendum costituzionale che preoccupa assai il premier. L’animatore della Leopolda ha individuato il punto debole del suo messaggio, ossia il fatto che non arriva ai giovani, non parla ai giovani e i giovani sono in stragrande maggioranza a favore del No nel referendum tra meno di un mese.

LA RIPARTENZA
E allora ha sferrato il contropiede politico-comunicativo in conclusione della kermesse fiorentina. Ha capito che il renzismo muore se viene percepito come la solita politica, come il sistema di sempre più o meno riverniciato, come il Palazzo che cambia inquilini ma le logiche restano uguali, nonostante la retorica rottamatoria di sette Leopolde. E allora, mentre l’ultimo sondaggio Tecné dice che il 60% dei giovani sono per il No e le altre previsioni sono ancora più severe, occorre mettere in scena le giovani mamme che guardano al futuro, le ragazze incinte che procreano perché credono nell’Italia, i sindaci trentenni che ricostruiscono i paesi distrutti dal terremoto e i loro coetanei che guidano Prato o altre città in nome di un desiderio di futuro che D’Alema & Brunetta e gli altri «falliti» vogliono uccidere. Sulla scena della Leopolda, guardando al referendum tra meno di un mese, Renzi ha riportato questo tipo di Italia. Troppo tardi? 

I TEMPI
La sconfitta culturale più grande, per il giovanilismo renziano come scossa generazionale e come anelito a cambiare tutto in barba ai conservatorismi, in fondo è già accaduta, almeno stando alle previsioni referendarie ma anche a un generale mood. Ed è quella di non essere riusciti a far passare il messaggio del rinnovamento tra coloro che più di ogni altro del rinnovamento hanno bisogno. Dunque la conclusione della Leopolda è stata tutta giocata sul derby tra il «piagnisteo» con rabbia, quella dei satrapi di destra e di sinistra vogliosi soltanto di ripristinare il proprio potere, e «il canto della speranza» di chi - grida Renzi con buona dose di retorica - «pensa al futuro dei propri figli». «Questa è la partita», spiega il premier. Il quale sa di non essere ancora riuscito - da giovane poco ascoltato dai giovani, per lo più orientati verso il vaffa o il chissene - nella missione che più appartiene al renzismo modello Leopolda. A questo servono, ossia a un’operazione recupero magari tardiva ma opportuna, i giovani, i giovani, i giovani, le neo-mamme come Veronique che ha il suo piccolo Bruno nel back-stage e i papà di famiglie appena nate, la volontaria Claudia Conte che attende un bimbo e parla della funzione dei genitori citando il poeta mainstream Khalil Gibran («Voi siete l’arco dal quale i vostri figli come frecce vive sono lanciati in avanti»), i testimonial della fiducia dei ragazzi nel futuro che ieri hanno sfilato sul palco fiorentino.

Renzi, se ha capito di doversi sforzare a includere i giovani allo scopo referendario ma anche più generale («Vaste programme» avrebbe detto Charles De Gaulle, immensa difficoltà), non sembra aver compreso invece che, alla luce del successo ottenuto con la clamorosa svolta filo-renziana di Cuperlo, per quanto si stia parlando di argomenti autoreferenziali e partitici di scarso interesse pubblico, gli converrebbe forse mostrarsi più magnanimo verso la minoranza Pd. Che per quel che vale un po’ serve ad aiutare il Sì, che ne ha bisogno, nella campagna per il 4 dicembre in vista del quale Renzi ieri ha proposto un rischioso Matteo contro tutti. Non la strategia più adatta, anche agli occhi di alcuni renziani non da combattimento che conoscono le dinamiche mentali degli aderenti alla Ditta, a portare dalla propria parte il più possibile degli elettori di sinistra finora sensibili alle sirene dalemian-cuperliste-bersaniane. 

GLI INTERVENTI
Ma ecco sul palco l’ideologo - sempre più ascoltato da Renzi da quando gli suggerì di insistere sulla «generazione Telemaco» nel famoso discorso per la presidenza italiana del semestre europeo - Massimo Recalcati. Parla lui ma è come se parlasse Renzi che infatti, successivamente, nella conclusione, non fa che citarlo. Lo psicologo super applaudito attacca la sinistra classica malata di «paternalismo e di saccenza» e affetta da «odio per la giovinezza». E poi ammette: «Noi del Pd abbiamo un problema con i giovani. Che rischiano di essere sequestrati da Grillo e dai populisti». E insomma il problema è il referendum ma va oltre il referendum fino a interrogare il renzismo così, anche se Recalcati non usa queste parole: vuole essere Gattopardo o innovazione? Ed è quello che si chiedono i giovani, orientati per lo più sulla risposta numero uno. Che è quella che fa soffrire Matteo. E che lui, anche con buone dosi di europeismo critico, è fortemente intenzionato a ribaltare. Ben sapendo le difficoltà del cimento.
Così spiega Giuliano Da Empoli, scrittore e saggista che il mondo Leopolda lo conosce da sempre: «La sfida con Grillo si gioca sui giovani. Dal punto di vista delle forme, e non dei contenuti, i 5 Stelle parlano di più rispetto al Pd con le nuove generazioni. Questa difficoltà di rapporto con i giovani è dovuta al fatto che il renzismo si innesta nel Pd che, biograficamente, è il partito più vecchio che c’è. E per di più sta al governo». 

Di fatto, l’ultima scena della Leopolda 7 è stata il grande abbraccio, sul palco, tra Renzi e tutti i ragazzi e le ragazze al ritmo della musica pop. Una contro-immagine fresca rispetto a quella della «compagnia dei rancorosi», così la chiama il premier, formata da D’Alema-Monti-Dini-Grillo-Calderoli-Schifani. Chissà se basterà. 

 
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