A quel punto, a marzo, scattò un licenziamento per assenteismo che, per decisione unilaterale, infrangeva quell'accordo sancito al momento dell'assunzione e che la direzione aveva preso un po' sottogamba, sottovalutando tra l'altro lo spirito battagliero di Marie Jean, 60enne originaria di Haiti che ha le idee estremamente chiare non solo sulla fede religiosa, ma anche sui propri diritti di lavoratrice. Una sottovalutazione della questione che ora costerà ai responsabili della struttura oltre 800mila dollari di risarcimento nei confronti della donna, come ha stabilito in questi giorni il tribunale.
Vistasi messa con le spalle al muro, infatti, Marie Jean ha fatto causa all'albergo, gestito all'epoca da Hilton, sostenendo che i suoi ex datori di lavoro avevano violato la legge sui diritti civili del 1964, che protegge i lavoratori dalle discriminazioni sulla base della razza, della religione, del sesso o della nazione d'origine. Dopo una lunga battaglia legale, lunedì scorso si è vista dare ragione da una giuria del tribunale federale che le ha accordato 21 milioni di dollari di danni, oltre a 35mila dollari di retribuzioni arretrate, 300mila per danni e 500mila per risarcirla dello stress emotivo. In realtà nelle tasche di Marie Jean entreranno 800mila dollari, visto che nelle corti federali, in casi come questo, esiste un tetto massimo di risarcimento che non può essere superato.
Delusi dal verdetto, ovviamente, i titolari dell'hotel che già preannunciano ricorso. Felici per il riconoscimento di un diritto Marie Jean e il suo legale. «La nostra assistita non ha fatto causa per i soldi - dice Marc Brumer, avvocato di Marie Jean - Lo ha fatto per una questione di principio, di rispetto delle regole e dei diritti. Lei è un soldato di Cristo che si impegna ogni domenica per aiutare i più sfortunati, come ampiamente documentato e confermato dai vertici della chiesa che frequenta. Se Marie Jean ha dato battaglia è stato per far valere i propri diritti e quelli di tutti gli altri lavoratori che vengono discriminati. Si trattava di inviare un messaggio a tutte le società: se hanno intenzione di prendere il sangue e il sudore dei lavoratori, è meglio che li accettino così come sono o che almeno li lascino seguire le loro convinzioni religiose. E' importante che la giuria abbia riconosciuto tutto questo. La legge federale impone genericamente ai datori di lavoro di prendere in considerazione le usanze religiose dei propri dipendenti: ora speriamo che questo verdetto stabilisca uno standard oggettivo valido per tutti».
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