La strategia dell'Europa per la difesa, più produzione di armi e gli acquisti comuni

Il pacchetto approvato da Bruxelles per ridurre la dipendenza dagli Usa

La strategia dell'Europa per la difesa, più produzione di armi e gli acquisti comuni
di Gabriele Rosana
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Martedì 5 Marzo 2024, 23:55 - Ultimo aggiornamento: 6 Marzo, 08:33

«Se non ora, quando?». L’Ue vuole spendere di più, meglio e insieme per l’acquisto di armi. Che siano, possibilmente, “made in Europe”. Il mondo è cambiato in una manciata d’anni, la minaccia per la sicurezza del continente è tangibile, «con il ritorno della guerra convenzionale ad alta intensità», e l’Ue si sveglia da un lungo letargo strategico accorgendosi che occorre tornare a investire sulla propria industria militare. Mantenendo fede alle attese, la Commissione ha presentato, ieri, il suo piano industriale per la difesa, una prima assoluta in un ambito che, tradizionalmente, è appannaggio dei singoli Stati: l’obiettivo è sostenere l’espansione della manifattura europea dopo gli anni di quiete che hanno fatto seguito alla fine della Guerra Fredda, liberando più risorse economiche (da subito sul tavolo ci sono 1,5 miliardi di euro) e ricorrendo ad appalti comuni per i sistemi d’arma. L’esempio da seguire è quello degli acquisti congiunti di vaccini e gas: i consorzi tra Stati verrebbero incentivati attraverso meccanismi di favore come l’esenzione dall’Iva, con Bruxelles a facilitare il coordinamento. I target, messi nero su bianco, sono ambiziosi: entro il 2030, il 40% degli equipaggiamenti militari dovrà essere comprato insieme, attraverso consorzi di Paesi Ue (nel 2022 la percentuale è stata solo del 18%), e la metà degli acquisti dovrà avvenire all’interno dei confini Ue. 

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GLI ARSENALI

«Le guerre non si combattono con le banconote: dobbiamo rafforzare la nostra capacità produttiva, passando da una modalità di emergenza a una visione di medio e lungo periodo», ha detto il capo della diplomazia Ue Josep Borrell.

Certo, Bruxelles non ha la bacchetta magica, ha ammesso: «Qui non abbiamo un Pentagono o un’istituzione con una forte capacità pubblica di acquisto in grado di trainare il mercato e l’industria di settore». La cassetta degli attrezzi è più limitata: «Dobbiamo cooperare e coordinare le nostre azioni». Cioè coniugare le esigenze di 27 capitali e le necessità di 27 eserciti diversi. Per il momento, la montagna ha partorito il topolino: nel pacchetto presentato ieri non c’è l’ombra del debito comune sull’esempio del Recovery Plan Ue, ma “appena” 1,5 miliardi a valere sul bilancio Ue da qui al 2027. Gli Eurobond per la difesa, nonostante le fughe in avanti di una manciata di leader (dalla estone Kallas al francese Macron), non entusiasmano i Paesi del Nord e rimangono un tabù destinato ad essere affrontato solo dopo le elezioni Ue di giugno. 

GLI OBIETTIVI

Un orizzonte «su cui sarà chiamato a lavorare il prossimo esecutivo Ue», ha rilanciato il commissario Ue all’Industria Thierry Breton, che solo due mesi fa aveva indicato in 100 miliardi l’investimento per sostenere la manifattura militare. Al piano europeo è da subito associata pure Kiev, dove aprirà un ufficio Ue per l’innovazione nella difesa incaricato di guidare il progresso tecnologico. La principale preoccupazione resta mandare armi all’Ucraina («Ha bisogno di 200 mila munizioni calibro 155mm al mese, circa 2,5 milioni all’anno», ha ricordato Borrell), ma sullo sfondo ci sono anche le relazioni con gli Stati Uniti, da cui l’Ue tra febbraio 2022 e giugno 2023, nel primo anno e mezzo di guerra, ha comprato il 63% degli equipaggiamenti militari (in totale, l’80% è extra-Ue). Fin troppo, per un continente che ha deciso di intraprendere il sentiero dell’autonomia strategica e vuole assumersi le sue responsabilità, pur nel dialogo con gli alleati. E questo, dicono a Bruxelles, a prescindere che a novembre alla Casa Bianca torni di moda l’isolazionismo di Donald Trump. 

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