Violenze Francia, lo storico della Rivoluzione francese, Patrice Gueniffey: «A Parigi crisi di autorità. L’integrazione ha fallito»

«Sarebbe servito lo stato di emergenza»

Violenze Francia, lo storico della Rivoluzione francese, Patrice Gueniffey: «A Parigi crisi di autorità. L’integrazione ha fallito»
di Marina Valensise
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Lunedì 3 Luglio 2023, 01:17 - Ultimo aggiornamento: 08:45

Cinque giorni di sommosse in Francia testimoniano che l’autorità costituita è in affanno. La polizia prova a limitare i danni, arresta centinaia di adolescenti salvo poi rilasciarli l’indomani. E Patrice Gueniffey, storico della Rivoluzione francese, studioso della politica durante il terrore e autore di una bellissima biografia su Napoleone, non è affatto ottimista. 


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La sommossa in Francia è un effetto della crisi di autorità?
«Per contenere la violenza il governo avrebbe potuto ricorre alla repressione, il che implica il ricorso all’uso della forza legittima.

Ma il presidente Macron scommette sullo sfinimento dei rivoltosi, che intanto hanno fatto shopping nei negozi saccheggiati, facendo incetta di computer, telefonini, abiti firmati. Ma la polizia non interviene, temendo il secondo morto. Arresta più di 700 persone, sapendo che il giorno dopo verranno rimesse in liberà».


Le sembra che ci sia lassismo? 
«La giustizia esercita la sua indipendenza contro lo Stato. Una misura come lo stato di emergenza avrebbe consentito di trasferire il giudizio sugli arrestati dall’autorità giudiziaria all’autorità amministrativa, superando i problemi posti dai legali dei rivoltosi. Ma il governo è talmente paralizzato dal timore di un incendio generale che preferisce adottare una strategia di contenimento, che non sta funzionando. Il calcolo è giusto, a lungo termine, ma la sensazione di debolezza incoraggia le sommosse a venire, e separa ancora di più i facinorosi da tutto quello che rappresenta lo Stato, e la Repubblica».


Giovani in rivolta, assalto a scuole ed edifici pubblici. Ieri notte in un comune della banlieue sud parigina, Hay-les Roses, una macchina ha persino sfondato il domicilio del sindaco, appiccando il fuoco e ferendone moglie e figlio.
«Ciò dimostra che la mansuetudine nella repressione non fa che avere conseguenze ben peggiori che il ricorso alla violenza legale».


Qual è la sua lettura?
«Non è né una rivoluzione, né una guerra civile, ma lo scontro tra una parte della popolazione non giuridicamente straniera, ma che si sente culturalmente tale nel paese in cui è nata o è venuta a vivere. “I barbari sono fra noi” diceva il liberale monarchico Mallet du Pan durante la Rivoluzione. Oggi una parte importante della popolazione che per ragioni etniche religiose o forse sociali non si sente di appartenere al paese in cui vive, detesta la Francia, la cultura, la tradizione, la storia e il modo di vivere francese».


È la prima volta, nella patria dell’universalismo. 
«È la prima volta nella storia di Francia che ci troviamo di fronte una minaccia di tale dimensioni. Quarant’anni di politiche di immigrazione permissive hanno importato in Francia, nel cuore dell’Europa, un’altra cultura e un’altra civiltà. Succede anche in altri paesi, ma in Francia più che altrove il fenomeno comporta un attacco interno, con la diffusione della moda woke, e un attacco esterno con l’immigrazione arabo musulmana. In più la Francia, in balia del pentimento permanente per le sue colpe storiche, incoraggia coloro che la detestano e vogliono distruggerla».


L’Italia corre lo stesso rischio?
«Non credo. Anche se pure voi siete di fronte a un afflusso di immigrati non integrabili e inassimilabili».


Dunque le sommosse rappresentano il rovescio della politica democratica dell’inclusione e delle pari opportunità? 
«Il rovescio o la conseguenza di una concezione falsa e astratta di universalismo. L’universalismo è un modo di illustrare la vocazione universale dell’Occidente, e in particolare il suo dominio politico, culturale e tecnico sul resto del mondo. Ma non ha mai voluto dire che tutte le culture sono uguali. Ora la negazione dei valori occidentali ha preso piede nel cuore dell’Europa, e ormai l’universalismo si è rovesciato in un principio di pentimento permanente in nome dei nostri crimini e delle nostre colpe. Questo ha portato a una critica dei valori, e al rigetto dei valori universali. Tant’è che non c’è più assimilazione: viviamo tutti nello stesso paese, su uno stesso territorio, ma in mondi separati».


Vuole dire che l’universalismo è astratto, e la realtà è impermeabile all’ideologia dei diritti dell’uomo?
«Voglio dire che la realtà ha finito per manifestarsi brutalmente nelle sommosse di questi giorni. Che esiste una popolazione arrivata coi suoi costumi, i suoi valori, che detesta la Francia, anche se ne approfitta grazie alle prestazioni sociali, agli assegni di disoccupazione, alle allocazioni familiari. Ma resta una popolazione che non si sente francese. Quanto all’universalismo dei diritti, occorre constatare che l’assimilazione è finita».


È d’accordo con chi parla di libanizzazione della Francia?
«Siamo di fronte allo scontro tra due culture, due popoli, due civiltà, quella musulmana e la nostra. La linea di demarcazione passa tra persone che coabitano sullo stesso territorio, ma si percepiscono come popoli diversi, come succede in Israele con i palestinesi. E ho paura che noi francesi con le nostre idee democratiche e umanitarie non abbiamo la stessa competenza degli israeliani per occuparci dei nostri arabi e dei nostri palestinesi». 


Come se ne uscirà? 
«Siamo in una morsa, per la denatalità, abbiamo bisogno di immigrati, non tutti gli stranieri odiano la Francia. Ma la Francia socialista e umanitaria ha il difetto di difendere sempre i cattivi contro i buoni».

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