Israele, Opera Romana Pellegrinaggi: troppi segnali nei mesi scorsi, ora fino a Natale stop ai viaggi

Don Remo Chiavarini, ceo: "Il gruppo di pellegrini di Roma guidati dal cardinale Feroci è a Gerusalemme in hotel, tutti stanno bene, torneranno domani sera"

Israele, Opera Romana Pellegrinaggi: troppi segnali nei mesi scorsi, ora fino a Natale stop ai viaggi
di Franca Giansoldati
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Martedì 10 Ottobre 2023, 18:21

«C'erano troppi segnali di tensione ultimamente». I pellegrinaggi a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth a causa della guerra sono già stati tutti cancellati e rimandati sine die. Almeno fino a Natale. La Terra Santa si prepara ad affrontare un altro lungo periodo di isolamento senza turisti e, di conseguenza, senza lavoro per le migliaia di cristiani che lavorano nell'indotto: camerieri, negozianti, artigiani, venditori di souvenir, guide turistiche, tassisti, ristoratori, operai. Gli effetti collaterali della guerra mandano a picco le prospettive delle famiglie dei cristiani. «La guerra avrà conseguenze a lungo termine sul tessuto economico già fragilissimo della zona». Ad analizzare la situazione è don Remo Chiavarini, amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, tra i maggiori tour operator religiosi a livello internazionale. «Il problema non è ovviamente nostro, l'Opera Romana ha da anni diversificato i viaggi verso altri santuari, luoghi mariani e altre località del mondo legate alla spiritualità. Ciò che ci preoccupa sono i contraccolpi per coloro che campavano grazie a quest'indotto sia in Israele che a Betlemme. Il turismo religioso si era ripreso bene e la gente stava respirando dopo gli anni durissimi del Covid». 

In questo momento avete gruppi religiosi a Gerusalemme?

«Ne abbiamo fuori ancora due, uno di 47 persone e l'altro di 51 persone.

Il primo è formato quasi esclusivamente da romani ed è guidato dal cardinale Enrico Feroci. Si trovano tutti in un buon albergo, al sicuro e sono sereni. Dovevano tornare giovedì con un volo ITA ma è saltato e così siamo riusciti a dirottarli su un altro volo. Partiranno domani notte. Il secondo gruppo, invece, è formato da cittadini svizzeri di Zurigo. Anche per loro la situazione è comoda, si trovano a Gerusalemme, in un altro albergo e hanno potuto continuare a visitare. Oggi sono stati al Santo Sepolcro e al Monte degli Ulivi. Anche per loro il rientro è immediato, senza problemi». 

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Che prospettive ci sono ora per il settore turistico in Terra Santa?

«La guerra ha imposto uno stop come è giusto che sia. Tutti i pellegrinaggi che avevamo per i mesi seguenti sono stati cancellati. Ne avevamo tanti, il settore era in fortissima ripresa tanto che si faceva fatica a trovare strutture con posti liberi. Stavano nascendo progetti legati alla ospitalità religiosa». 

La minoranza cristiana che è soprattutto palestinese ne farà le spese?

«Purtroppo è evidente. E' uno dei drammi del Medio Oriente l'indebolimento numerico dei cristiani. E' un problema tangibile sia per gli ebrei che i musulmani. La componente cristiana nella storia ha sempre avuto un ruolo fondamentale perchè più portata al dialogo, a fare da cuscinetto e quindi giocava un ruolo di stabilità» 

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Dalle informazioni che lei ha come è la situazione al confine con Gaza?


«C'è una tensione fortissima. La preoccupazione è se la guerra rimarrà entro i confini oppure se si allargherà anche all'interno delle comunità limitrofe che ora sono relativamente calme. Penso per esempio a Betlemme o Gerico, ma anche in territorio israeliano come Nazareth o altri villaggi abitati prevalentemente da arabi”. 

I pellegrinaggi di Natale sono stati cancellati?

«Al momento e' tutto bloccato. La sicurezza e la tranquillità per noi restano fondamentali. Ovviamente appena capteremo i primi segnali di riapertura ci muoveremo per sfruttarli. Io stesso dovevo partire a novembre ma non andrò. Si naviga a vista. Siamo sempre in contatto con le autorità consolari italiane. Quello che è accaduto è davvero orribile». 

C'erano stati segnali nei mesi precedenti?

«Con il senno di poi mi viene da dire che c'era una tensione innegabile. Nei Territori palestinesi, in Cisgorgdania, in tanti villaggi, quasi ogni giorno c'erano manifestazioni e purtroppo anche morti o episodi di violenza. Si trattava di una ferita che stava diventando purulenta, sanguinava». 

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L'attacco di Hamas lo avrebbe immaginato?

«Sono costernato, allibito, senza parole per quello che è accaduto. MI viene da piangere. L'odio a cosa può portare. Un odio nutrito e senza speranza. Mi auguro che si possa trovare una soluzione stabile per la regione, lo dico per il bene dello Stato di Israele e per il popolo palestinese. Due stati e due popoli è uno slogan che viene spesso ripetuto, ma come potrà essere tradotto nella concretezza non saprei, la comunità internazionale deve agire presto. Io credo nei miracoli». 

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