Kuwait, i nostri piloti con i bimbi afghani: «Noi ripagati da quegli sguardi»

Kuwait, i nostri piloti con i bimbi afghani: «Noi ripagati da quegli sguardi»
di Gianluca Perino
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Mercoledì 25 Agosto 2021, 07:43

KUWAIT CITY (dal nostro inviato) - Nella base di Alì Al Salem, in Kuwait, ci sono almeno 42 gradi. Ma è un problema solo per chi non è abituato. Qui, in pieno deserto e a una trentina di chilometri dal confine con l'Iraq, i militari italiani lavorano da più di cinque anni per tenere sotto controllo i movimenti dell'Isis nell'area. E al clima rovente non fanno più caso, anche perché da qualche giorno, oltre a dover pattugliare i cieli con gli Eurofighter, sono diventati un punto di snodo fondamentale per il passaggio dei rifugiati afghani diretti in Italia. È da questa base, infatti, che partono per Kabul i quattro C130 che la Difesa ha messo in campo per l'operazione Aquila Omnia. Una rotta che non è per niente agevole: sei ore all'andata e due ore in più al ritorno, a causa di una sosta obbligata per fare rifornimento a Islamabad, in Pakistan. «Ma siamo fieri di farlo», spiegano i piloti. Che però devono stare molto attenti, soprattutto all'aeroporto di Kabul, dove c'è sempre il rischio (malgrado il controllo della sicurezza sia gestito in tandem da americani e Talebani) di qualche scheggia impazzita che possa colpire per far precipitare la situazione.

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IL RACCONTO
Sul campo l'Italia ha anche altri quattro aerei, che possono imbarcare fino a 100-150 persone e che servono per completare il tratto dal Kuwait al nostro Paese. «Partecipare ad una missione così delicata ci fa sentire orgogliosi - spiegano Marco e Daniele, due dei piloti che fanno la spola tra Alì Al Salem e Roma - perché stiamo aiutando delle persone in difficoltà.

Molti non hanno mai volato, hanno paura. Poi sono spaesati perché non parlano né inglese né tantomeno italiano. Ma cerchiamo di metterli a loro agio, di farli sentire al sicuro. Perché spesso, per loro, questo tratto di viaggio in aereo è soltanto l'ultimo segmento di un'avventura cominciata molto lontano, tanto tempo prima, in qualche provincia sperduta dell'Afghanistan». Ma quello che colpisce di più i militari sono i bambini. «Nei loro sguardi vedi un misto di stanchezza e speranza. Anche se in realtà non sono solo i loro sguardi a colpirci: hanno la stessa forza gli occhi delle donne incinte, dei papà. Tutti hanno bisogno di aiuto. E noi siamo qui per questo. Qualche giorno fa - raccontano - abbiamo imbarcato una donna al nono mese di gravidanza. L'abbiamo seguita e monitorata per tutta la durata del volo. Alla fine siamo riusciti a farla arrivare senza problemi a Roma, dove è stata presa in carico dai nostri sanitari. Se ha partorito? Questo non lo so, ma stava bene e spero che sia andato tutto ok». A breve, comunque, la piccola cittadina di Alì Al Salem, popolata da oltre 500 nostri soldati, tornerà ad occuparsi esclusivamente del controllo dei terroristi. Perché la spola con l'Afghanistan finirà, così come è finita la missione con gli alleati sul campo. «Sì, andiamo via - spiega ancora Daniele - ma lasciamo con la consapevolezza di aver fatto un lavoro importante. Lavoro che ci viene testimoniato dalla riconoscenza che queste persone ci manifestano quotidianamente».

I NUMERI
Fino a questo momento sono oltre 2.600 i profughi afghani partiti da Kabul e portati in Italia dai voli organizzati dalla Difesa. Tra loro, almeno novecento bambini e oltre 800 donne. Sono in attesa di essere imbarcati quasi altri 1.100 afghani fermi all'aeroporto di Kabul. E a questo punto, almeno per il momento, le operazioni potrebbero subire un rallentamento. Perché proprio ieri i vertici dei Talebani hanno comunicato che potranno partire soltanto gli stranieri.
 

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