“Kimono, ovvero l'arte di indossar storie” all'Istituto Giapponese di Cultura a Roma fino al 19 gennaio

“Kimono, ovvero l'arte di indossar storie” all'Istituto Giapponese di Cultura a Roma fino al 19 gennaio
di di Francesca Nunberg
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Venerdì 9 Novembre 2018, 16:12 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 17:50

Che gli abiti parlino per noi è fuori discussione. Scansando la babele di slogan e messaggi della moda occidentale, tutt’altra ispirazione è quella dell’estetica “elusiva” giapponese che arriva a nascondere figure e narrazioni all’interno dei vestiti. Per aprire un guardaroba agli antipodi del nostro, fatto di tigri e bambù, ventagli e lottatori di Sumo, ma anche di manga e cosplay, merita una visita la mostra Kimono, ovvero l’arte di indossar storie, fino al 19 gennaio all’Istituto Giapponese di Cultura a Roma. Sulla fodera di un kimono maschile degli anni Trenta è dipinto Ebisu, il dio della pesca, nell’atto di tirare su un dentice rosso, una veste è dedicata a Fukurokuju, dio della saggezza, ritratto come un uomo grassoccio con un piccolo barbiere che gli si arrampica sulla testa. Il più inquietante vede spuntare lo sguardo stralunato del monaco Daruma, fondatore del buddismo zen: la leggenda narra che dopo aver meditato per nove anni perse l’uso delle braccia e delle gambe e preso dalla rabbia si strappó le palpebre gettandole a terra; da lì nacque la pianta del tè capace di tenere lontano il sonno.

Ma tutte queste meraviglie dipinte, tessute o stampate sulle fodere si potevano ammirare solo quando uno si spogliava. «L’uomo giapponese vestiva e veste tuttora in modo sobrio - spiega la storica dell’arte trevigiana Lydia Manavello che ha prestato i suoi kimono per la mostra, una quarantina di pezzi sui 200 collezionati in 15 anni - L’abito si svelava quindi nell’intimità della famiglia oppure veniva mostrato alla geisha preferita. L’uso negli anni é cambiato, ma non la forma del kimono, che in 800 anni è rimasto praticamente identico, allungandosi solo di qualche centimetro insieme all’altezza dei giapponesi. L’epoca d’oro è stato il periodo Heian, tra 900 e 1100, quando l’arte nipponica si svincola da quella cinese e il kimono diviene una tela a disposizione anche di grandi maestri che li decorano attingendo alla religione, alla natura, ai fatti di cronaca».

Mentre da noi impazza la passione per la moda Made in Japan e stilisti come il post-atomico Yohji Yamamoto o Junya Watanabe di Comme des Garçons sono contesi da tutte le passerelle, nel paese del Sol Levante l’abbigliamento che piega prende? «Il kimono è parzialmente ancora in uso, non più composto da 12 strati ma al massimo da due - spiega Manavello - e il governo del Giappone ha istituito un Kimono Day per incentivarne la diffusione. È stato reinventato, si indossa sui jeans o abbinato ad accessori contemporanei. È la cultura pop che lo porta avanti, grazie ai cosplay e ai manga, anche se i vecchietti inorridiscono. E se per i kimono formali si usano disegni e pattern tradizionali, per gli altri si attinge anche ai fumetti».

La mostra, curata da Maria Cristina Gasperini e Yurina Tsurui, in collaborazione con il Museo delle Civiltà di Roma (che a sua volta espone fino al 13 gennaio kimono di epoca pre-moderna nella mostra
Geisha, l’arte, la persona) è divisa in quattro sezioni. L’abito, dicono, fa il monaco, il bambino, il giapponese e il fiore, quindi i temi sono la religione, l’infanzia, la tradizione e la natura riportati su pregiati kimono per uomo donna e bambino che raccontano storie come le pagine di un libro illustrato. La mostra è gratuita ma conviene farsela spiegare: 27 novembre, 6 dicembre, 12 e 17 gennaio le visite guidate, da prenotare al numero 06.3224754.

Lydia Manavello illustra le sue “creature” coadiuvata da Loretta Paderni, responsabile delle collezioni asiatiche del Pigorini.

Su un piccolo kimono da bambino troviamo nientedimeno che l’episodio bellico del Manchiukuò, lo stato fantoccio cinese creato dall’Impero giapponese nel 1932: si vedono aerei da combattimento, truppe a cavallo, bandiere, perfino tazebao che danno la notizia. «Altri hanno come soggetti carrarmati, deflagrazioni, soldati in trincea, sono piccoli pezzi di storia», spiega la collezionista. Ma il mondo esterno non finisce sugli abiti solo in modo così bellicoso: uno splendido kimono viola da donna con grandi foglie evoca l’Art Decò, una cintura obi sfoggia lanterne, i rotoli dei Sutra e il cappello dell’invisibilità (Harry Potter non ha inventato niente...), su un sopra-kimono da uomo si snoda un’intera processione di signori feudali sulla strada del Tokaido. All’ombra del Monte Fuji sbucano tigri, draghi, caravelle, scatole per il gioco delle conchiglie. C’è il modello da sposa con bambù, pino verde e fiori di pruno e quello con il cuculo, le anatre selvatiche e le sette erbe che annunciano l’arrivo dell’autunno.

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