Nanda Rea, astrofisica premiata in Spagna: «Per affermarci ci serve il doppio della grinta degli uomini»

Nanda Rea
di Elena Marisol Brandolini
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Sabato 25 Luglio 2020, 07:57

Nanda Rea è un'astrofisica, ricercatrice principale di un programma sulle stelle di neutroni in cui partecipano 30 paesi e 300 scienziati di tutto il mondo. Nata a Roma nel 1978, lavora a Barcellona presso il Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Instituto de Ciencias del Espacio. Recentemente è stata insignita del premio alle Scienze e all'Ingegneria del Banco Sabadell.

Che significa per lei ricevere il premio del Banco Sabadell?
«È un onore ricevere un premio così importante e il fatto che sia dato a una persona che fa scienza di base, a un'astrofisica, quindi a qualcuno che fa ricerca su cose utili solo nel lungo periodo, è un onore. Anche perché sono la prima donna a riceverlo, il che vuol dire che sta cambiando qualcosa più in generale. Scienza e ingegneria sono settori molto mascolinizzati, le mie colleghe saranno il 10-15%».

Lei ha detto che nella scienza non è più come 20 anni fa per le donne, cos'è cambiato?
«Il fatto che nello studio della matematica si sia al 50% donne e uomini, ma quando si arriva a livelli accademici la presenza sia prettamente maschile indica l'esistenza di una discriminazione. E, a livello internazionale, negli ambiti accademici e scientifici, è cominciato a cambiare qualcosa, si sono cominciati a creare posti di professore o premi solo per donne. Ma è ancora più difficile per le donne fare carriera, ci vuole il doppio della grinta e della determinazione, si è soggette a discriminazioni».

Perché in Italia e in Spagna le donne sono poco presenti nelle discipline STEM?
«In Italia e in Spagna la presenza femminile in questi settori è ancora bassa, ma superiore rispetto ai paesi del Nord Europa, come Olanda, Germania e Inghilterra. In America, invece, la presenza delle donne in questi settori è maggiore, perché hanno iniziato venti anni fa ad aprire posti solo per donne e a dare valore agli scienziati: le risorse che l'America investe nella ricerca sono infinitamente superiori a quelle europee».

Lei ha già raggiunto traguardi importanti, è stato difficile arrivare fino a qui?
«Non è stato facile, ci sono tante cose che devi mettere in conto se vuoi fare scienza a un certo livello, una di queste è viaggiare, vivere in vari paesi. E questo ti fa rinunciare a stare con i tuoi amici, a volte ti fa rinunciare a una famiglia in giovane età. Io ho avuto la fortuna di fare tutto abbastanza presto, ho avuto il primo figlio a trent'anni e ora ne ho tre, ma la mia è una situazione molto poco comune tra gli scienziati e le scienziate coetanei».

Si lavora meglio fuori dell'Italia nel suo campo?
«Sì, perché ci sono pochi fondi per la ricerca in Italia, c'è poco rispetto per la scienza. In Italia, per avere un posto di ricercatore fisso c'è chi aspetta fino ai 50 anni. Ma non si può vivere nella precarietà per così tanto tempo, dopo un po' ci si stufa e magari si finisce col lavorare per una qualunque impresa».

Lei studia le stelle di neutroni, di che si tratta?
«Le stelle nascono da nebulose di polveri e di gas di vario tipo, iniziano a bruciare facendo reazioni nucleari all'interno, per cui si accendono perciò vediamo il sole e tutte le stelle - ma a un certo punto questo ciclo finisce. Quando accade, se le stelle sono grandi 8, 10, 20 volte il sole, scoppiano in quelle che si chiamano esplosioni Supernova. Queste esplosioni lasciano il nucleo di queste stelle molto compatto, come la massa del sole in sfere dal diametro di 20 chilometri. Queste sfere hanno un campo magnetico enorme e girano molto rapidamente: ecco, queste si chiamano stelle di neutroni. A volte queste emettono delle particelle e le vediamo come dei fari nelle galassie e questo ci permette di utilizzarle come detettori di onde gravitazionali, di utilizzarle come GPS per andare in giro per lo spazio, per orientare i satelliti».

Quando ha lasciato l'Italia?
«Sono andata via nel 2004. Sono stata in Olanda per sei anni, poi sono venuta a lavorare a Barcellona. Una cosa bella di questo mestiere è che è molto internazionale, si lavora con collaboratori che stanno in giro per il mondo. E gli italiani all'estero sono conosciuti dagli italiani, siamo un po' un riferimento in questo campo.

Lei è romana, torna spesso a Roma?
«In realtà ci torno poco, sono romana un po' per caso. Perché mia madre è persiana, mio padre è mezzo romano e mezzo argentino. La gran parte della mia famiglia è in Iran. Torno a Roma per vedere gli amici, perché sono cresciuta a Roma, tutta la mia formazione scolastica l'ho fatta a Roma».

Come ha deciso di dedicarsi alla scienza?
«Un po' per caso, anche se mio padre è un matematico, quindi un po' si respirava a casa. Tra l'altro ho fatto il classico, ma mi è sempre piaciuta la fisica; mi piaceva anche veterinaria, ma non c'era la facoltà a Roma. Perciò ho studiato fisica e poi è diventata una passione».

Com'era studiare nelle università romane da scienziata una ventina di anni fa?
«Ero una delle poche donne del mio corso, ma mi sono trovata bene, penso che le università italiane siano di livello molto elevato, soprattutto rispetto all'estero».

Allora eravate in poche, secondo lei sarà ancora così?
«Secondo me sta cambiando. Vado spesso in alcune scuole qui a Barcellona a fare seminari e vedo che ci sono molte ragazze interessate, che magari vogliono fare le astronaute. E questo è anche dovuto a un'attenzione sociale che c'è: per esempio, l'altro giorno su un autobus di Barcellona ho visto un cartello che faceva la pubblicità dell'università Politecnica con una foto grande di una ragazza con un libro e la scritta Vuoi essere una ingegnera?. Questo può essere un messaggio positivo per la ragazzina che prende quell'autobus».
 

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