Treia, profughi con lo smartphone ospitati a villa Bartoloni, i vicini: «Noi lasciati soli»

I profughi nella villa di Treia
di Alessandra Bruno
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Domenica 17 Maggio 2015, 11:57 - Ultimo aggiornamento: 17:26
TREIA - Immigrati a "villa Bartoloni", cinquanta famiglie si interrogano: «Per adesso nessun problema, ma in futuro? Un po' di timore c'è». A raccogliere il sentire cittadino è Fabrizio Falappa, uno dei tanti treiesi che vive a pochi passi dall'ex fornace Bartoloni, principale industria locale negli anni Sessanta, all'epoca del boom economico.



L'arrivo. Una delle proprietà della storico gruppo imprenditoriale, in accordo con il Comune, è stata adibita ad alloggio per stranieri. Un mese fa l'arrivo di una ventina di profughi, sfuggiti alla guerra in Libia, ha scombussolato la routine del piccolo borgo: «Sono un bel gruppetto di soli uomini - racconta Fabrizio - camminano sempre nella zona, guardano il paesaggio e si soffermano sui dettagli. Tutti abbiamo notato che possiedono telefoni di ultima generazione». La preoccupazione - se così si può definire - è ben lontana dal poter essere associata al razzismo: «Non li conosciamo e a parte qualche schiamazzo mentre giocano a calcio sembrano bravi ragazzi, ma avere il sospetto che le cose possano cambiare è lecito. Qui è sempre stato un posto tranquillo in cui si possono ancora lasciare le chiavi dell’auto inserite nel cruscotto, ci auguriamo semplicemente che le cose continuino così. I nuovi inquilini appaiono curiosi: speriamo senza secondi fini».





Ricariche e iPhone. La residenza accoglie 19 richiedenti asilo originari del Pakistan, del Bangladesh e dell'Afghanistan. Un'altra ottantina di stranieri è stata distribuita tra la frazione Rocchetta (San Severino) e villa Luzi. Villa Bartoloni a Treia è dotata di tutti i comfort, ha un bel parco e una vista da sogno. La novità in paese non è passata inosservata. Diverse le lamentele dei residenti: c'è chi è infastidito dai rumori notturni, chi ha visto gli stranieri rincasare «con enormi sacchi della spesa», chi si è accorto «che maneggiano Ipad e Iphone 6, che costano oltre 700 euro» e chi parla di «abbonamenti telefonici da 30 euro al mese».



Casa popolare negata. Lo sdegno delle famiglie che non arrivano a fine mese è una reazione quasi automatica: «Ho fatto richiesta per la casa popolare - si sfoga una vicina 28enne che vuole restare anonima - e il Comune mi ha chiuso più volte la porta in faccia. La ragione? In lista c'erano prima gli extracomunitari. A casa i soldi li porta solo mio marito: prende uno stipendio da operaio con cui devo far mangiare due bambine». Poi prosegue: «Vivo a Treia da un paio di anni, prima abitavo a San Severino e ho stretto amicizia con una donna africana. Io e lei condividevamo tutto, è una persona fantastica. Sono d'accordo nell'aiutare gli stranieri, ma non a scapito di chi paga le tasse e lavora duramente. Io l'Iphone me lo sogno, non me lo sono mai potuta permettere».



Bimba senza logopedia. La convivenza al momento è pacifica, ma i cittadini chiedono risposte: «Un po' di rabbia sale, è innegabile - dice ancora la giovane mamma - da anni aspetto un sostegno dall'amministrazione per il servizio di logopedia: a causa dei problemi mia figlia dovrà ripetere l'anno. Quando non posso comprare alle mie bambine neanche un lecca-lecca mi piange il cuore. Chi ha il potere deve trovare una soluzione, non si dovrebbero creare squilibri del genere». «Non c'è mese che non bussi alla porta di padre Gabriele, sacerdote del Duomo. E' una fortuna che esistano ancora persone così perché altrimenti non saprei come fare, lo Stato ci ha un po' delusi», chiude.





Il caso Sarnano. Polemica sull'arrivo di 30 profughi a Sarnano. Già giunti a Sassotetto, per qualche giorno alloggeranno all'Hotel Sibilla. Il sindaco Franco Ceregioli commenta: «Siamo stati messi di fronte al fatto compiuto, dalla Prefettura è arrivata una telefonata di mera cortesia. Al di là del periodo limitato nel quale i migranti dovrebbero soggiornare a Sarnano, tutte le scelte che riguardano un territorio dovrebbero essere adottate di concerto con le autorità locali e non essere contattate quando tutto è stato deciso. A maggior ragione in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, nel quale l'argomento "migranti" è estremamente sensibile nei confronti dell'opinione pubblica».