Finto prete ucciso, in appello dimezzate le condanne

La scena del delitto
di Marco Cusumano
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Giovedì 2 Marzo 2017, 10:14
Condanne dimezzate nel processo d'appello per l'omicidio di Patrizio Barlone, il finto prete di 61 anni ucciso nella sua abitazione a Monte San Biagio il 9 febbraio 2015. Ieri la Prima Corte d'assise d'appello di Roma ha condannato a 18 anni di carcere ciascuno Salvatore Avola, Carmine Marasco e Antonio Imperato, considerati gli autori materiali del delitto. Per Aldo Quadrino (imprenditore 53enne di Fondi) e Salvatore Scarallo 15 anni, infine 10 anni sono stati inflitti a Vincenza Avola. In primo grado, nel febbraio dello scorso anno, il gup di Latina Laura Matilde Campoli, a conclusione del processo col rito abbreviato, condannò Imperato, Marasco e Salvatore Avola a 30 anni, Quadrino e Scarallo a 20, Vincenza Avola a 5 anni solo per rapina. La donna fu assolta dall'accusa di concorso in omicidio, ipotesi che invece è stata ripristinata in secondo grado con conseguente condanna a 10 anni. Le riduzioni sono state ottenute in appello grazie al riconoscimento della diminuente del concorso anomalo per 3 degli imputati e con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti.

Era il 9 febbraio 2015 quando, in un'abitazione di Monte San Biagio, proprio di fronte alla caserma dei carabinieri, fu trovato morto Barlone, conosciuto da tutti in paese come don Patrizio, ex diacono, sospeso e interdetto dall'esercizio e in più occasioni spacciatosi per sacerdote. L'uomo fu trovato nella sua abitazione con le mani legate con alcune fascette di plastica, il cranio fracassato da calci e pugni e la bocca bloccata con una sciarpa. A trovare il cadavere fu la sorella che lanciò subito l'allarme. Le indagini furono piuttosto complesse e alla fine, grazie a una telecamera di sicurezza, quattro persone, tra cui una donna, furono immortalate proprio di fronte alla casa del finto prete. Inizialmente si pensò a un furto ma poi tra le ipotesi prese corpo quella della rapina finita nel sangue, ma anche quella di una vendetta magari legata a questioni di soldi in prestito. Qualche mese dopo i carabinieri arrestarono le sei persone poi portate a processo.

In secondo grado l'accusa aveva chiesto la conferma di tutte le condanne pronunciate dal gup di Latina a conclusione del rito abbreviato, con l'unica eccezione per la posizione di Vincenza Avola, per la quale erano stati chiesti 20 anni per concorso in omicidio. Il movente del delitto sarebbe un debito di 25mila euro contratto con la vittima da Quadrino che, non potendo restituire il denaro, avrebbe contattato i complici per organizzare il furto, poi degenerato in omicidio.