Iannotta e Altomare, la tangente-truffa: tra Gomorra e Totò

Iannotta e Altomare, la tangente-truffa: tra Gomorra e Totò
di Vittorio Buongiorno
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Venerdì 18 Settembre 2020, 09:26 - Ultimo aggiornamento: 15:41

E' il dieci maggio del 2018 quando gli investigatori della Squadra Mobile di Latina intercettando Luciano Iannotta e i napoletani Gennaro e Antonio Festa scoprono che sono pronti a versare una tangente «un milione di euro» per ottenere «un appalto della Regione Lazio». E' la storia più incredibile dell'operazione Dirty Glass ed emerge dalle 400 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Roma, Antonella Minunni.
Una gigantesca truffa ai danni degli indagati. Sembra di assistere a una puntata di Gomorra, la quarta serie, quando Genny va a Londra con un carico di lingotti d'oro per acquistare la società che gli consentirà di costruire l'aeroporto. A Iannotta and company accade qualcosa di simile. Tutto si svolge a Roma. E' P.T. ad agganciare Altomare, proporre l'affare e metterli in contatto con un presunto funzionario della Regione, che ha a sua volta presentato a Iannotta un tal Stefano Ricci, indicandolo come mediatore. «La somma sarebbe stata custodita - ricostruiscono gli inquirenti - presso un soggetto terzo individuato da Iannotta sino al primo stanziamento di fondi pubblici».

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L'appuntamento è nello studio romano di un notaio (tra l'altro molto conosciuto anche a Latina). Il milione arriva con una scorta armata (De Gregoris, titolare di porto d'arma per difesa personale, e due buttafuori latinensi chiamati da Altomare). Dal notaio entrano Iannotta e il sedicente Stefano Ricci. Colpo di scena, quest'ultimo si rifiuta di contare lì i soldi. E qui più che Gomorra sembra di vedere un film di Totò: spunta un tizio, F.Z., funzionario della Corte dei conti e amico di P.T. che «mette a disposizione un ufficio nella Corte dei Conti» spiega il gip, in cambio di una quota del 5% della tangente.
Iannotta e Ricci entrano alla Corte dei Conti «attraverso una porta carraia sul retro». Il misterioso signor Ricci conta il denaro, lo infila in una busta e lo mette in una borsa, fa per uscire dalla stanza «per farlo visionare ad altri soggetti al piano inferiore». Poi però riceve una telefonata e desiste, «non è opportuno spostarsi ora», spiega. Ritira fuori la busta dalla borsa, restituisce i soldi a Iannotta e rimanda la consegna.

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La sera i napoletani scoprono che i soldi restituiti sono falsi. Fuori di sé convocano Iannotta e Altomare. L'imprenditore è disperato. Secondo il gip in questa vicenda «appare evidente il ruolo centrale assunto da Nathan Altomare, evidentemente regista dell'operazione, e quindi ritenuto garante responsabile e interfaccia dei mediatori che si rivelavano dei truffatori, ciò che metteva in seria difficoltà la credibilità del collaboratore di Iannotta».
Tutti sospettano di tutti. Iannotta e Altomare organizzano il sequestro di P.T (che ha proposto l'affare) e di F.Z. (che ha messo a disposizione l'ufficio). I due vengono «sottoposti a un pesante interrogatorio con minaccia armata» all'interno «di un capannone della Akros Holding a Sonnino, in via Argine Amaseno». Iannotta fa il duro: «Scegli il figlio che mi devo prendere fino a che non mi porti Ricci». Poi al telefono racconta: «Gli ho fatto di tutto, li ho massacrati di botte. Il ferro qua e qua, in bocca, ma niente, loro non hanno parlato». E' per questo che chiede aiuto ai due carabinieri arrestati nell'operazione per scoprire chi siano il presunto Stefano Ricci e il misterioso funzionario regionale destinatario della tangente. Anche questo serve a nulla, solo a far finire nei guai il colonnello dell'Arma Alessandro Sessa e il carabiniere Michele Carfora Lettieri.
Vittorio Buongiorno
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