Leo, l'infermiere guarito ringrazia l'ospedale: «Covid terribile, sono rinato a 64 anni»

Leo Labbadia mentre lascia l'ospedale
di Giovanni Del Giaccio
4 Minuti di Lettura
Venerdì 24 Aprile 2020, 12:30

Era stato sempre dall'altra parte. Per 43 anni infermiere al Santa Maria Goretti di Latina, una vita nel reparto di ortopedia, nel 2019 era andato in pensione e oggi - a 64 anni - racconta commosso: «Sono nato una seconda volta». Per chi crede, ha lasciato la medicina d'urgenza il giorno di Pasqua. Leo Labbadia è uscito ieri dall'ospedale, è uno dei guariti dal Covid 19 e ha una storia che pensava di non poter più raccontare.

NORMALE INFLUENZA

Erano i primi di marzo quando si è ammalata la figlia, quattro-cinque giorni di febbre, una normale influenza nonostante fosse già noto il Coronavirus. Subito dopo si è ammalato lui, era il 14 marzo: «Sono stato a casa una decina di giorni, non avevo affanno né tosse, febbre sì ma il medico mi diceva che non c'era motivo di preoccuparsi perché senza quei sintomi non rientravo nel protocollo». La situazione, però, peggiorava: un primo antibiotico, una lastra al torace (negativa) e un secondo antibiotico ma ancora nulla. «Stavo malissimo e il medico di base ha deciso di mandarmi alla tenda - racconta Labbadia, in passato anche sindacalista Cgil in ospedale - avevo fatto il tampone e quando mi hanno chiamato da malattie infettive per dirmi che era positivo e dovevo ricoverarmi non avrei mai immaginato come sarebbe andata , inoltre alla Tac era emersa la polmonite, ero provato dalla febbre ma stavo ancora abbastanza bene».
La situazione, invece, è precipitata nei giorni successivi: «Sono stato in reparto, mi hanno curato con i farmaci che si usano in questi casi e anche con quello per l'artrite che si sta sperimentando - dice - ma la situazione peggiorava, mi hanno portato a medicina d'urgenza, non respiravo. L'ultima cosa che ricordo è che me ne stavo andando, ho pensato a mia moglie e ai figli ormai grandi, ho detto che ce l'avrebbero fatta, poi non so cosa sia successo ma quando mi sono risvegliato ricordo il rumore del casco».

Vedi anche>> Coronavirus, l'infermiera Daniela racconta l'inferno di Lodi: «Un paziente Covid? Muore come un pesce fuor d'acqua»

Il cosiddetto Cpap, rumoroso ma efficace, difficile da sopportare ma che in questo caso è stato indispensabile. «Ho iniziato a capire, mi sono detto forse me la cavo, ma era dura. Durissima. Questa malattia ti toglie il respiro ma ti fa rendere conto di quello che succede, è subdola, tremenda, per questo sento di dire a tutti di rispettare le regole per evitare contagi». A casa dopo il suo ricovero sono stati fatti i test anche alla figlia - risultata positiva, ma che è guarita come fosse una normale influenza - e alla moglie, negativa.

DALL'ALTRA PARTE

Ha ricoverato e dimesso migliaia di pazienti, in vita sua, ma mai era stato lui un ospite del Goretti o di altri ospedali. «Ci voleva il Covid - sorride - al quale come mi hanno spiegato dopo si sono unite altre complicazioni batteriche, diciamo che mi hanno ripreso per i capelli, sono un miracolato e quando ho iniziato ad avere la saturazione buona mi hanno spostato con la maschera di ossigeno nel reparto attiguo, poi a malattie infettive quando respiravo autonomamente».
 

Ha vissuto l'ospedale da paziente, vero, ma non dimentica la sua quarantennale esperienza al Goretti: «È un'altra cosa, completamente trasformato, ho visto un lavoro di squadra che mai c'era stato prima, ci sono équipe coordinate che operano con attenzione, impegno e una collaborazione tale che consentono alle persone di rinascere. Perché non sono guarito solo io, ma tanti stanno lasciando l'ospedale».
Labbadia vuole «Ringraziare chi mi ha ridato la vita, da oggi la guarderò in modo diverso, ma senza infettivologi, internisti, medici dell'urgenza, cardiologi, pneumologi, chi lavora nei laboratori, infermieri, caposala, personale ausiliario, non sarei qui. Spero di non tralasciare nessuno, fanno un lavoro che all'esterno si può solo immaginare». E poi: «Ho capito quante persone mi vogliono bene, dalla direzione sanitaria all'ultimo collega non c'è stato uno che non si è preoccupato, poi i familiari, gli amici di una vita e pure chi non vedevo da tempo». Grande sostegno è arrivato anche dai social, mentre appena è stato in grado di comunicare poteva contattare la famiglia in videochiamata «ringrazio il dottor Romeo che svolge questo servizio per i ricoverati». Dai tamponi negativi alle ultime cure il passo è stato breve e ieri Leo ha riabbracciato moglie e figli: «La cosa più bella che ho».
 © RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA