Stipendi, le donne pagate il 5% meno degli uomini: allarme dell'Inps. Ma nel resto dell'Ue è peggio

Le buste paga sono ancora diverse, specie nel privato, ancor più ai vertici

Stipendi, le donne pagate il 5% meno degli uomini: allarme dell'Inps. Ma nel resto dell'Ue è peggio
di Raffaella Troili
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Giovedì 14 Dicembre 2023, 06:21 - Ultimo aggiornamento: 15:10

Stesso carico di lavoro, ma i conti non tornano, le buste paga sono ancora diverse, specie nel privato, ancor più ai vertici. Professioniste, imprenditrici, operaie, impegnate e appassionate, con sulle spalle un sovraccarico - di fatto un doppio lavoro - per conciliare maternità, famiglia, affermazione personale, ma anche crescenti necessità economiche. All'allarme dell'Inps, si aggiunge l'analisi metodologica elaborata dall'ufficio studi Consulenti del lavoro. Il Gender pay gap in Italia esiste ancora, e seppure in altre nazioni sia più elevato, non consola.

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LE CIFRE

Cominciamo dai numeri: nel 2021, la retribuzione media oraria delle donne in Italia è del 5% inferiore rispetto a quella di un uomo. In Europa, il differenziale arriva al 13,5% e Paesi come la Francia e la Germania che hanno livelli salariali mediamente più elevati, presentano differenziali retributivi molto più elevati. L'ultima pubblicazione dell'Istat sulla struttura delle retribuzioni in Italia (2021) - sottolinea l'ufficio studi Consulenti del lavoro - individua un differenziale retributivo del 6,2% come risultato della retribuzione oraria media di 16,2 euro per gli uomini e di 15,2 euro per le donne. «Tuttavia - precisa il presidente dei Consulenti del lavoro, Rosario De Luca - non esiste differenza di genere nei contratti collettivi. L'approccio culturale deve cambiare, rispetto a maternità, assenze, opportunità di agevolare il rientro al lavoro». Eppure tale differenziale tende ad aumentare tra i laureati (18%), con una retribuzione media oraria di 19,6 euro per le donne e di 23,9 euro per gli uomini, ma anche tra i dipendenti con un'istruzione primaria (15%), sebbene su livelli retributivi orari decisamente più bassi (10,8 euro le donne e 12,7 euro per gli uomini). Più contenuto (10,4%) il Gpg associato all'istruzione secondaria - titolo più diffuso - in corrispondenza di retribuzioni orarie di 13,8 euro per le diplomate e di 15,4 euro per i diplomati.

IL GAP AL VERTICE

Il "gap salariale" aumenta tra le professioni in cui vi è una minore presenza femminile. Il gruppo dei "dirigenti" mostra un valore del Gps pari al 27,3%, in corrispondenza delle retribuzioni orarie più alte, sia per le donne (33,6 euro) che per gli uomini (46,2 euro), stacco particolarmente significativo. Segue il gruppo degli "artigiani e operai specializzati" (18,5%), per i quali le retribuzioni orarie sono pari a 10,1 euro per le donne e 12,4 euro per gli uomini, e quello delle Forze Armate (18,8%), con valori della retribuzione oraria pari a 15,5 euro e 19,1 euro rispettivamente. Il più basso Gpg si registra nelle "professioni non qualificate" (9,3%) in corrispondenza delle retribuzioni orarie più basse (9,7 euro per le donne e 10,7 euro per gli uomini). Mentre il gruppo delle professioni intellettuali e scientifiche, si caratterizza per elevati livelli retributivi (secondi solo a quelli dei dirigenti, attestandosi a 22,9 euro tra le donne e a 25,6 euro tra gli uomini) e un basso livello del Gpg (10,5%), ma anche per una massiccia presenza di lavoratrici. Di fatto se il Gpg nel comparto a controllo privato è pari al 17,7%, nel comparto a controllo pubblico scende al 2%. È in quest'ultimo che le donne sono la maggioranza (55,4%), qui si registra anche la maggiore concentrazione di donne con elevato livello di istruzione e con più alta retribuzione oraria: le laureate hanno una retribuzione oraria di 22,6 euro, ben 7,5 euro superiore a quelle delle laureate nel comparto privato; tra gli uomini la differenza si riduce a 4 punti, passando dai 26,1 euro nel pubblico ai 22,1 euro nel privato.

LA PRECARIETÀ

In base alle elaborazioni Istat in occasione dell'Audizione sulla proposta di introduzione di un salario minimo legale, sottolinea l'Ufficio studi dei consulenti del lavoro, il 27,8% delle donne occupate in Italia presenta almeno un elemento di "vulnerabilità lavorativa", riconducibile alla sussistenza di un contratto a termine o collaborazione, o presenza di part time involontario, o entrambe le condizioni.
Tra gli uomini, la quota di lavoratori vulnerabili è del 16,2%. Condizione assai diffusa tra le giovanissime (45,7%), tra le straniere (40,7%) e tra le residenti al Sud (36,2%), che si riverbera subito sul livello del reddito. Ancora: nel 2018, le lavoratrici dipendenti guadagnano circa 6.500 euro in meno dei lavoratori (31.335 euro contro 37.912), anche per effetto del più basso numero di ore retribuite: in media, 1.552 ore per le donne e 1.840 per gli uomini. Nel 2022 i dati peggiorano: 7mila euro in meno. «Il divario retributivo ha ripercussioni sulla qualità della vita delle donne, sul rischio di esposizione alla povertà e sulla persistenza del divario pensionistico», che è pari a circa il 30% nell'Ue.

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