Claudia Cattani, presidente BNL BNP Paribas: «Sorellanza, un codice che fa bene alle aziende»

Claudia Cattani, presidente BNL BNP Paribas: «Sorellanza, un codice che fa bene alle aziende»
di Franca Giansoldati
4 Minuti di Lettura
Sabato 27 Aprile 2024, 09:32 - Ultimo aggiornamento: 17:03
«Sorellanza significa introdurre armonia in ambienti che sono assai competitivi. Vuol dire decidere assieme, introdurre un nuovo codice». Lei per prima, Claudia Cattani, presidente di Bnl Bnp Paribas, pratica questa filosofia all'interno di un grande un istituto bancario, unico in tutto il panorama del settore poiché anche il ruolo di Ceo, oltre la presidenza, è a trazione femminile. «Siamo un unicum in Europa. E abbiamo anche oltre il 40% del personale femminile».
È singolare sentire parlare di sorellanza in questo contesto...
«Con la Ceo Elena Goitini ne andiamo orgogliose, è frutto di una scelta nuova, una scommessa e una sfida. Da noi sta funzionando e c'è quella sorellanza che troviamo raramente nelle donne ai vertici».
In concreto che vuol dire per lei sorellanza?
«Sorellanza vuol dire decidere in armonia e assieme. Ma sorellanza è anche un codice di valori comuni che si esprime nel valutare le scelte fatte. Una visione innovativa».
Le aziende a trazione femminile davvero funzionano meglio?
«Ormai nessuno lo mette più in dubbio. Ci sono studi autorevoli che hanno dimostrato quanto la presenza femminile a livello apicale incida a fare effettivamente meglio. All'inizio queste ricerche venivano recepite con scetticismo ma poi, come spesso succede, sono i fatti a spianare la strada. Le donne generalmente hanno una diversa percezione del rischio e prestano maggiore attenzione alle scelte che implicano rischi importanti. Nel medio termine questo porta a risultati positivi. Non si hanno certamente grandi performance ma nemmeno grandi cadute».
Se a capo della Lehman Brothers vi fossero state donne non ci sarebbe stato il più disastroso crack degli ultimi tempi?
«Può darsi. Senza assolutizzare le donne sono naturalmente orientate alla oculatezza, alla cautela, alla previsione. Sono allenate a guardare al medio termine e non al risultato importante immediato. La prudenza le guida nelle scelte, anche familiari. Di conseguenza: coltivano uno sguardo più ampio, caratteristica propria della leadership femminile».
E il team building?
«La mia esperienza mi ha fatto toccare con mano quanto sia importante. Persino in tempi in cui non si parlava di questi argomenti. Le donne, per quanto ho valutato, sono inclini a condividere la conoscenza propria, a condividerla e coinvolgere il team, l'essenza più nobile del gioco di squadra».
Negli anni Settanta lei si è iscritta a scienze economiche e bancarie. C'erano tante donne?
«Non molte a dire il vero. Quando scelsi quella facoltà a Siena mi fu sconsigliato, erano studi considerati non adatti alle donne. Quanto cammino è stato fatto da allora...»
I suoi genitori la hanno scoraggiata?
«Sono stata fortunata. Entrambi hanno accompagnato la mia voglia di studio e hanno condiviso le scelte che facevo senza influenzarmi in alcun modo. Mi sono sentita libera. Naturalmente il percorso professionale negli anni a seguire è stato faticoso».
Perchè?
«Erano altri tempi. Ho incontrato persone che mi bloccavano o mettevano i bastoni tra le ruote, ma poi tutto si superava, altrimenti non sarei arrivata dove mi trovo, tuttavia io sottolineo sempre la difficoltà psicologica che ha accompagnato silenziosamente tanti percorsi femminili. Donne sole in un mondo di uomini. Oggi è meno frequente, ma fino vent'anni fa era la norma. Personalmente ho toccato con mano questa dimensione anche perché mi sono ritrovata diverse volte a essere la prima di un po' di cose. Va da sé che sia stato possibile perché non ho incontrato ostacoli insormontabili ma nulla era scontato a quei tempi. In un passato molto recente si faticava a concepire una manager che potesse conciliare quei ruoli con la famiglia. Era un pregiudizio da abbattere».
Le è capitato che in qualche Cda qualcuno la chiamasse signorina e non dottoressa?
(
Ride) «Oh, non sa quante volte. Sono pure stata scambiata per la segretaria o l'assistente di qualche sottoposto. Ma non ha mai costituito un problema per me. Ci abbiamo riso sopra».
Presidente o presidentessa?
«Mi faccio chiamare "la" presidente. Credo sia giusto così. Quando ero a capo di Reti Ferroviarie feci fare uno studio su quale fosse la dizione più corretta».
Non le è stato difficile mettere assieme famiglia e carriera?
«Sono sposata e ho due figli ora grandi. Ho un marito che mi ha aiutata benchè lui stesso fosse parecchio occupato. Ma non mi ha mai ostacolato, anzi ha incoraggiato i progressi. La famiglia l'abbiamo cresciuta con tanti aiuti. Avendo possibilità economiche mi sono potuta permettere sostegni che purtroppo non tutte le donne che lavorano possono avere. Ecco perché c'è bisogno di un welfare sociale forte per conciliare famiglia e lavoro».
Ha mai subìto molestie nel corso della sua carriera?
«Personalmente mai. Io ho avuto la fortuna di crescere professionalmente in ambienti internazionali e americani. Decisamente ambienti evoluti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA