Ilaria Cucchi mercoledì incontra Trenta e il comandante dei carabinieri Nistri

Cucchi, la sorella Ilaria mercoledì incontra Trenta e il comandante dei carabinieri Nistri
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Lunedì 15 Ottobre 2018, 12:29 - Ultimo aggiornamento: 19:00

Ilaria Cucchi incontrerà mercoledì il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri. «L'incontro è stato fortemente voluto dal ministro Trenta e si svolgerà in sede al ministero», fanno sapere dalla Difesa. L'appuntamento è per le 19 a palazzo Baracchini. Un faccia a faccia «fortemente voluto» dal titolare di via XX settembre e che rappresenta un ulteriore passo verso quegli «spiragli di luce» aperti dalle dichiarazioni del vice brigadiere Francesco Tedesco e invocati dallo stesso premier Giuseppe Conte.

«Ascolteremo cosa hanno da dirci» ha detto la sorella di Stefano dopo aver ricevuto la convocazione al ministero,
sottolineando di aver «accettato volentieri l'invito del ministro della Difesa e del Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri» e dicendosi «onorata» dalla «volontà di riceverci» espressa dal ministro e dal numero uno dell'Arma.

Ad Ilaria, sia Trenta sia Nistri ribadiranno quel che hanno già detto dopo la confessione di Tedesco, che ha accusato gli altri due colleghi coimputati con lui per omicidio preterintenzionale di aver picchiato Stefano. E proprio nei confronti del vice brigadiere è apparso sui muri di Brindisi, dove vive, un grande striscione: «Per l'infame nessuna pietà, sei la vergogna della città».

«Chi si è macchiato di questo reato pagherà, ve lo assicuro - ha sottolineato nei giorni scorsi il ministro su Facebook -. Lo vuole il governo e lo vuole tutta l'Arma. Sono vicina alla famiglia di Stefano, ai suoi amici e ai suoi cari. Abbraccio tutti con grande affetto». «Ho già avuto modo di incontrare Ilaria e il suo avvocato in altra occasione e non ho alcun motivo per non incontrarla di nuovo - aveva invece detto sabato scorso Nistri -. Ci sono episodi esecrabili per i quali l'Arma si deve scusare, non come istituzione, ma perché alcuni componenti infedeli sono venuti meno al proprio dovere anche nei confronti dell'Arma stessa».

Ed è probabile che al ministro e al comandante generale Ilaria e l'avvocato Anselmo ribadiscano la necessità non solo di arrivare alla verità sulla morte di Stefano ma anche di far luce sull'inchiesta interna che fu avviata dopo la sua morte e della quale mancherebbe qualsiasi verbale, per capire fino a che livello dell'Arma sapevano. Anche perché il clima nei confronti di Stefano e dalla sua famiglia sembra essere ancora sempre lo stesso. «Sono ripresi gli insulti gratuiti - scrive proprio Ilaria su Fb - ormai il prezzo da pagare è questo».

Questa volta la sorella di Stefano ce l'ha con l'ex ministro Giovanardi «che non si rassegna all'anonimato» e «cade nel ridicolo dicendo che mio fratello sarebbe morto di droga» e con l'avvocato Giosuè Naso, difensore del comandante della stazione Appia, il maresciallo Mandolini, che «da un lato, per difendere non si sa chi, ammette tranquillamente il pestaggio ad opera dei Carabinieri» e «dall'altro, preoccupato non si sa bene per chi, si spinge a dire che mio fratello sarebbe morto di hiv».

«Ci sono persone che sentono l'esigenza di difendere l'Arma dei carabinieri ma qui nessuno ha messo sotto accusa l'Arma ma singole persone», aveva detto ieri Ilaria Cucchi, in una lunga intervista a Mara Venier a Domenica In. «So perfettamente che la maggioranza di chi indossa la divisa sono persone perbene che compiono il loro dovere e lo fanno per noi. Però - osserva Cucchi - abbiamo un problema serio quando i carabinieri che vengono a testimoniare hanno paura a dire la verità, anche perché vediamo il trattamento riservato a Riccardo Casamassima», il carabiniere che con le sue dichiarazioni ha permesso la riapertura delle indagini e il nuovo processo. «Capisco chi ha paura a parlare: è un problema serio. Ciò infanga l'onore della divisa, chi non rispetta la divisa è chi sbaglia», ha aggiunto Ilaria Cucchi.

Ilaria Cucchi è tornata anche sull'invito rivoltole dal ministro Matteo Salvini, per un incontro al Viminale, ribadendo
che «anche se molte dichiarazioni di questi giorni sono significative io credo che la mia famiglia per prima cosa meriti delle scuse perché oggi sappiamo la verità e noi in questi anni siamo stati lasciati soli: noi non abbiamo mai mollato, Stefano era un ultimo ed è morto da ultimo ma i diritti non sono mai sacrificabili». Nell'intervista ha anche ripercorso la vita del fratello «era bello dentro - ricorda - aveva sempre un sorriso e una battuta. Mi ripeteva, "Ila sei felice?"».

Nell'adolescenza arriva il problema della tossicodipendenza, «io ero la più critica con lui, ero l'amica ma anche la sua peggior nemica», l'entrata in comunità di recupero, la voglia di tornare a vivere e a lavorare. Poi l'arresto per spaccio e l'inizio del calvario. E la sua lotta per avere giustizia. «Nove anni sono tanti, ma per noi la verità era già chiara quel 22 ottobre: davanti al corpo di mio fratello mi venne in mente Federico Aldrovandi e chiamai l'avvocato Anselmo. Lui mi disse scatti le foto all'obitorio, all'autopsia».

Quelle foto con il corpo e il volto martoriato, come evoca anche Sulla mia pelle, il film che quel calvario ripercorre, sono state la base per avvicinarsi alla verità. «Oggi sappiamo che quel pestaggio vi fu perché Stefano rifiutò il fotosegnalamento. Nove anni fa - ricorda Ilaria - ci dicevano altro: che il fotosegnalamento a Stefano non era stato fatto perché non voleva sporcarsi le mani (per prendere le impronte digitali, ndr), il carabiniere Roberto Mandolini disse in aula che con Stefano era andato tutto bene, era tranquillo, anche simpatico per la sua parlata romana. Ora è emersa la verità: chi in aula giurò e disse il falso ora è imputato. Sono loro i responsabili di tutta questa perdita di tempo per la ricerca della verità, di 6 anni di processi sbagliati».

Perché non è stato curato, le domanda Mara Venier? «Perché era un ultimo, vittima del pregiudizio. Il giudice non ha saputo guardare oltre il pregiudizio: 140 pubblici ufficiali in 6 giorni non hanno visto oltre. Non hanno visto un detenuto come persona». E poi il momento choc per la famiglia, arrivato dopo i vani tentativi di riuscire a mettersi in contato con Stefano, ricoverato in ospedale: «Abbiamo saputo della sua morte quando è arrivato a casa il decreto di notifica di autopsia. In pratica ai miei genitori è stato detto guardate che vostro figlio a breve sarà sezionato».

 

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