Covid, la paura dei giovani dopo la movida: tutti in coda per un tampone in ospedale

Covid, la paura dei giovani dopo la movida: tutti in coda per un tampone in ospedale
di Mauro Evangelisti
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Venerdì 21 Agosto 2020, 08:22 - Ultimo aggiornamento: 17:01

ROMA Dalla coda per il gin tonic in discoteca alla fila per il tampone rinofaringeo davanti all'ospedale di Bracciano. «L'età mediana dei casi diagnosticati nell'ultima settimana è di 30 anni. La circolazione avviene con maggiore frequenza nelle fasce di età più giovani, in un contesto di avanzata riapertura delle attività commerciali (inclusi luoghi di aggregazione) e di aumentata mobilità». Gli scienziati della cabina di regia del Ministero della Salute e dell'Istituto superiore di Sanità la spiegano in questo modo, forse poco immediato, ma ci sono altre immagini che raccontano bene come, rispetto alla prima fase dell'epidemia, ora i protagonisti sono i giovani. Dopo l'incoscienza dell'estate (anche per colpe non loro, ma a causa dei messaggi inviati con eccesso di superficialità) ora i ragazzi sono passati alla paura, alla preoccupazione.

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Prima immagine: pomeriggio di ieri, alle 14.30, sotto il sole davanti all'Ospedale Padre Pio di Bracciano ci sono in fila 250 ragazzi. T-shirt, Converse, bermuda, mascherina, sguardo sul display dello smartphone, stanno aspettando di fare il tampone perché nella notte tra il 14 e il 15 agosto erano in una discoteca di Anguillara Sabbazia (Roma), dove, si è scoperto più tardi, c'erano anche due coetanei positivi. Seconda immagine: sta succedendo da ormai tre giorni, lunghe code in macchina ai drive in organizzati dalle Asl di Roma per effettuare i tamponi; sono i ventenni tornati dalle vacanze in Costa Smeralda o, semplicemente, coloro che hanno avuto contatti, magari nei bar di Ponte Milvio o al Flaminio, con i ragazzi che dalla Sardegna sono appena rientrati, dopo serate nei locali dove il coronavirus ha contagiato almeno cento persone.

RITORNO
La maggioranza è di Roma nord, altri si sono rivolti ai laboratori privati quanto meno per eseguire i test sierologici. Nelle chat dei grupponi di giovani la paura serpeggia, alcuni positivi coscienziosamente scrivono dei post sui social per avvertire gli amici. La notizia che tre di loro sono stati ricoverati allo Spallanzani (e dunque non è vero che sono tutti asintomatici), rimbalza. «Ho più di 38 di febbre, cosa devo fare?», chiedono. In sintesi: l'estate era cominciata con i ragazzi che, dopo mesi di lockdown, sono fuggiti, partiti per la Croazia, Malta, Corfù, Mykonos, Ibiza, Sabaudia, Capri, la Costa Smeralda, tutti convinti (sbagliando), che non ci fosse pericolo, «il Covid non c'è più e comunque è solo un problema per i più anziani». L'estate sta finendo con un sentimento opposto. In Italia, ma anche a livello europeo come ha confermato l'Organizzazione mondiale della sanità, l'epidemia è ripartita sulle gambe dei ragazzi, delle vacanze, della movida. Molti dei giovani lo hanno capito. Racconta una ragazza trevigiana, al ritorno dal viaggio della maturità, all'Isola di Pag, in Croazia, da dove centinaia di ragazzi sono rientrati positivi: «Anche io sono stata contagiata, ma con il gruppo dei miei amici, quando siamo arrivati a casa, abbiamo scelto di isolarci anche prima di fare il tampone; mio padre ha dei problemi di salute, non volevo infettarlo».

C'è timore, dunque, non solo per la propria salute, ma anche per quella dei propri cari: nel Pesarese un uomo di 60 anni è finito in terapia intensiva per Covid dopo che il figlio è tornato dalle vacanze a Malta. Purtroppo, però, tra i ragazzi c'è ancora una parte di chi non ha ancora colto le dimensioni del problema: qualcuno è fuggito dalla Sardegna, malgrado l'obbligo di quarantena; in Emilia una ragazza, positiva, è andata in discoteca, senza aspettare l'esito del tampone. I dati dell'Istituto superiore di sanità confermano che l'epidemia ora sta coinvolgendo i più giovani: da quando è iniziata, l'età mediana dei positivi è di 60 anni, nell'ultimo mese si è abbassata a 34. E il 15 per cento ha anche meno di 18 anni. Certo, tra i 20 e i 29 anni il 96 per cento non ha sintomi o li ha lievi, ma questo significa anche che c'è un 4 per cento che è in condizione definite «severe».
 

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