Covid, Oms: «Poche sanzioni, l'Italia è a rischio. In questo modo si arriva a 4mila casi al giorno»

Ranieri Guerra
di Mauro Evangelisti
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Lunedì 24 Agosto 2020, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 08:56

«Non dirò mai ve l’avevo detto, non sta bene in questi casi», dice il professor Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Organizzazione mondiale della sanità. Lui aveva messo in guardia da un possibile nuovo incremento di infetti da coronavirus, visto che in estate tutte le misure di precauzione si sono ridimensionate. I numeri gli stanno dando ragione e ripete: «La grande maggioranza degli italiani è disciplinata e fa attenzione, sulla minoranza che non rispetta le regole bisogna intervenire con più efficacia, anche con le sanzioni».

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L'andamento dell'epidemia


Si aspettava questo andamento dell’epidemia?
«Mi aspettavo che i rientri dalle vacanze avrebbero prodotti questi effetti. In Europa siamo circondati da nazioni con molti casi. Inoltre, c’è un discreto lassismo, soprattutto in altri paesi, ma lo stiamo vedendo anche in Italia, per fortuna in maniera ancora limitata, non perché non ci siano le regole, che esistono e sono state ripetute e ripetute. E non credo neppure che ci sia una irresponsabilità generale. Vedo molta gente estremamente disciplinata, soprattutto gli anziani, soprattutto i più fragili. Però non vale per tutti».

Cosa è mancato?
«Manca l’aspetto sanzionatorio, quello che invece ad esempio in Campania il presidente De Luca ha applicato. Raccomandare dei comportamenti fidando nella buona volontà di tutti è utile. Ma poi per pochi irresponsabili, per poche persone che non ci credono, per pochi negazionisti che non vengono sanzionati e obbligati a rispettare le regole, andiamo a perdere una situazione ottimale che avevamo ereditato dal lockdown dopo molti sacrifici degli italiani. Sono pochi a non rispettare le regole, ma sufficienti a rimettere in circolazione il virus».

Cosa dobbiamo temere?
«Non mi preoccupa la gravità clinica che conseguirà a questi nuovi positivi che non incidono in modo rilevante sui ricoveri in questo momento, ma osservo che sono comunque persone che fanno circolare il virus, aumentare la probabilità di contagio sui soggetti più fragili. Tenga conto di un dato: ad arrivare a mille serve tempo, ma poi a salire a duemila al giorno e infine a quattromila si fa in fretta. L’epidemia funziona così, lo avevamo visto a marzo».

Cosa succederà se ci troveremo come Francia e Spagna con 4.000 casi al giorno?
«Ci arriveremo probabilmente presto, dato che stiamo assistendo sia ad un aumento dei positivi che ad una accelerazione conseguente dei tempi di moltiplicazione. Ancora una volta, come dice giustamente il ministro Speranza, non possiamo contare su un nuovo lockdown generale. Pertanto, l’interruzione della possibile montata epidemica si potrà ottenere con una combinazione di intensificato contact tracing e isolamento dei microcluster identificati attraverso un aumento mirato dei tamponi. Grande attenzione va posta sui trasporti pubblici e privati e ancora una campagna informativa basata sui numeri e su quanto oggettivamente sta accadendo perché tutti comprendano che mascherine, distanziamento, igiene e sanificazione non sono espressioni di una dittatura sociale, ma le fondamentali misure di protezione collettiva. Accanto a ciò è necessario proteggere anziani e fragili in maniera estremamente precisa, dovunque».

Cosa possiamo fare per limitare i danni?
«Aumentare il personale sul territorio per tracciare tutti i contagiati, isolare chi deve essere isolato, ricostruire la catena epidemiologica. Dobbiamo indagare i cluster più complessi come quelli dalla Sardegna. Io vedrei con favore un’estensione su tutto il Paese di sanzioni per chi non rispetta la regole, dalle mascherine al distanziamento. La norma senza sanzione non funziona molto».

Qual è la formula della prevenzione oggi?
«Non parliamo di chiudere una regione o una città. Non siamo a questo livello. Ora come ora si deve intervenire sul singolo cluster, in modo tempestivo, chiudere l’area e creare delle micro-zone rosse per fermare subito il contagio. Il problema delle micro-zone è che vanno controllate e, anche qui, sanzionare chi non le rispetta».

Perché dobbiamo mantenere molto alta la guardia?
«Ragioniamo: oggi i contagi sono relativamente pochi e sono tra persone mediamente giovani e mediamente sane. È evidente che i denominatori dell’epidemia sono differenti rispetto all’inizio, quando invece la maggioranza di chi veniva colpito era anziano, con una maggiore letalità. Questo è un fattore positivo. Il problema però è che siamo in una fase di aumento della pressione virale e incrementando i numeri anche dei pochi rilevanti dal punto di vista clinico, poi si raggiungano numeri assoluti di persone con necessità di terapia intensiva che aumentano parecchio. Ma c’è un altro elemento che va ricordato e non lo dico per fare terrorismo: siamo di fronte a un virus che conosciamo da sette mesi, ha cambiato il mondo, siamo lontanissimi dal conoscerne tutti gli aspetti».

E questo cosa comporta?
«Abbiamo delle evidenze che anche persone che non hanno avuto sintomatologie serie a medio e lungo termine qualche reliquato ce l’hanno».

Non solo dunque chi è andato in terapia intensiva?
«Esatto. Anche gli asintomatici, anche i giovani perfettamente sani, devono fare attenzione, perché non sappiamo cosa il contagio può lasciare. Magari nulla e lo speriamo tutti. Ma la ricerca ci dice che lascia dei segni e questo non va bene. Ci sono studi importanti che stanno partendo ora per valutare i postumi. E sono postumi non solo respiratori, ma anche cardiaci, neurologici, epatici e renali».
 

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