Covid, le mini zone rosse? Nelle aree in cui il virus non sarà tracciabile

Covid, le mini zone rosse? Nelle aree in cui il virus non sarà tracciabile
di Mauro Evangelisti
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Domenica 23 Agosto 2020, 08:33 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 22:03

C'è una sorta di libretto di istruzioni che guiderà Regioni e aziende sanitarie nei prossimi, complicati, mesi. E spiega come comportarsi di fronte a un incremento dei casi positivi. Partiamo dai dati: oggi in Italia ci sono 1.077 focolai attivi, 152 in più di una settimana fa. L'incidenza di nuovi casi, nelle ultime due settimane, è di 9,65 ogni centomila abitanti. Sono numeri alti, ma controllabili. Ad oggi dal Ministero della Salute, ma anche dagli esperti del Comitato tecnico scientifico, il piano di risposta all'incremento oggettivo di infezioni non prevede il ricorso al lockdown. Non vi sono le condizioni e, d'altra parte, neppure nazioni vicine che hanno il quadruplo di infetti giornalieri dell'Italia, hanno previsto una misura tanto drastica. E allora? Esclusa, quanto meno con i ritmi di crescita attuali, la chiusura dei confini di una intera regione, come ha ipotizzato l'altro giorno il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, a cui ieri è arrivato il secco no, grazie di Bonaccini (Emilia-Romagna) e Toti (Liguria), ma anche del governo. La formula semmai è quella della vigilanza costante del territorio, con la delimitazione di zone rosse, senza perdite di tempo, quando ve ne sia la necessità.

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AREE
Significa che si chiude un'intera città? No. Il territorio interessato è molto più limitato, anche perché altrimenti sarebbe meno efficace la risposta. Si può ipotizzare un paese (come successe a Nerola nel Lazio e Medicina in Emilia-Romagna, per fare due esempi tra i tanti), un centro residenziale, un'area industriale (in Germania per l'incremento dei contagi chiusero la zona dei macelli). Quanti contagi servono per fare scattare questa procedura? Non è necessariamente un calcolo matematico, ma contano le caratteristiche del focolaio. In queste ore era stata ipotizzata una zona rossa a Santi Cosma e Damiano, piccolo paese del sud Pontino, in provincia di Latina. Ma si è capito che non è necessaria. Può essere un caso emblematico: ha 6.500 abitanti, un indice prevalenza di 30 casi ogni 10.000 persone, dunque alto. Ma poiché le due famiglie con i 20 contagiati sono state già individuate e isolate, la zona rossa non ci sarà. Sintesi: non contano i numeri, ma le caratteristiche del focolaio. In altri termini: in teoria, in un piccolo paese puoi anche avere decine di persone infette, ma se i servizi epidemiologici hanno già identificato l'origine del contagio, circoscritto e isolato tutti i contatti, allora la zona rossa risulta inutile.

Al contrario, anche in presenza di un numero minore di casi, per i quali però non è chiaro il percorso della trasmissione, bisogna intervenire senza esitazione, chiudere l'area, isolarla ed evitare che poi il virus finisca fuori controllo. Riusciranno le Regioni a essere organizzate a un tipo di intervento quasi chirurgico? Questo è il nodo, anche perché c'è un altro problema. Per ora, anche con mille casi al giorno, tutti i focolai rilevati sono sotto controllo. Ma se ci dovesse essere una moltiplicazione dei positivi quando andrebbe in sofferenza il sistema? Se da mille casi al giorno arriveremo a 4.000, come paesi vicini a noi (vedi la Francia), allora sarebbe meno semplice controllare tutti i rivoli dell'epidemia. Per questo, spiegano tutti gli esperti, non basta dire: i nuovi casi che troviamo sono asintomatici, gli ospedali non sono in sofferenza, non dobbiamo preoccuparci. La capacità di arginare l'aumento degli infetti, senza misure drastiche, passa anche dalla urgenza di mantenere più bassa possibile la curva dei contagi.

Una cosa è avere a che fare con 100 casi, che presumibilmente portano a un solo ricovero in terapia intensiva, un'altra averne 10.000 mila, dunque con 100 posti occupati nel reparto con i pazienti più gravi. Ma ci sarà lo stop degli spostamenti da una regione all'altra? Ad oggi non appare una misura imminente e utile. Abbiamo una differente geografia del contagio che sconsiglia questo tipo di contromisura: a marzo e aprile la circolazione del virus avveniva, al 90 per cento, in quattro regioni del Nord, e aveva senso evitare gli spostamenti. Oggi la situazione è mutata, dunque più che a interventi su macro aree, l'attenzione del piano del governo e le indicazione del Comitato tecnico scientifico, guardano a un controllo capillare del territorio. Resta una enorme incognita, su cui nessuno - né in Italia né nel resto del mondo - può fare una previsione credibile: gli effetti, in termini di numero di contagi, della riaperture delle scuole.
 

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