Agnelli, l’eredità contesa. Parla l’avvocato che curò la trattativa del 2004: «Quei conti offshore nascosti a Margherita»

Luigi Emanuele Gamna: «Non eravamo al corrente di nulla, né potevamo accedere alle società estere»

Agnelli, l’eredità contesa. Parla l’avvocato che curò la trattativa del 2004: «Quei conti offshore nascosti a Margherita»
di Valeria Di Corrado
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Giovedì 22 Febbraio 2024, 01:20

«Noi non eravamo al corrente di nulla, né avevamo strumenti per accedere a conti e società di “outremer” (oltreoceano, ndr)». L’avvocato milanese Luigi Emanuele Gamna fu uno dei due legali che per conto di Margherita Agnelli seguì la trattativa che il 2 marzo del 2004 la portò a siglare con la madre, a Ginevra, un accordo sull’eredità paterna: rinunciò a tutto in cambio di 1,3 miliardi di euro. Il problema - come sostiene la figlia dell’ex presidente della Fiat nell’esposto presentato il 23 dicembre 2022 alla Procura di Torino e come conferma ora il suo ex difensore - è che in quel frangente non era a conoscenza dell’intero patrimonio di cui disponevano i genitori.

Solo successivamente, infatti, ha scoperto che c’erano conti esteri e società offshore, con sede in paradisi fiscali, riconducibili a sua madre.

Le indagini svolte finora dal nucleo torinese di polizia economica finanziaria della Guardia di Finanza hanno riscontrato effettivamente «l’esistenza di ulteriori beni, produttivi di reddito, derivanti dall’eredità del senatore Giovanni Agnelli (deceduto il 24 gennaio 2003), detenuti - si legge nel decreto con cui è stata perquisita, tra gli altri, la residenza anagrafica di John Elkann - da società terze collocate in paradisi fiscali, di cui Marella Caracciolo è risultata essere titolare effettiva». Gli inquirenti sospettano che un immenso patrimonio sia stato sottratto all’imposizione fiscale, facendo leva sul fatto che la moglie di Gianni Agnelli avesse una residenza fittizia in Svizzera e quindi non dovesse pagare le tasse in Italia. L’avvocato Gamna spiega che all’epoca non ne avevano prove: «Forse oggi le cose sono diverse e quella che allora poteva essere solo un’ipotesi ha maggiore consistenza. Ma noi non eravamo al corrente di nulla, né avevamo strumenti per accedere a conti e società di “outremer”». In ogni caso, precisa il legale, «fu grazie a noi che Margherita poté ottenere una cifra molto cospicua di denaro e opere d’arte di enorme valore». 


IL FASCICOLO A RIMINI
Ora però ha querelato la sua ex cliente per diffamazione e, nonostante la Procura di Rimini abbia chiesto l’archiviazione nei confronti della figlia degli Agnelli, Gamna ha presentato opposizione (a maggio ci sarà l’udienza davanti al gip). Margherita, anni dopo, rinnegò l’accordo del 2004 e avviò una serie di iniziative in sede giudiziaria sostenendo di essere vittima di un raggiro.

«Il senso del suo discorso - spiega il civilista - è chiaro: io e il mio collega ci saremmo “venduti” alla controparte, cedendo alle lusinghe e patrocinando la nostra cliente in modo infedele all’interno di un sistema mafioso governato da una setta». Però «sa che non esiste un solo elemento di prova - prosegue l’avvocato - che possa suffragare la sua tesi, strumentalmente costruita per entrare in possesso della società Dicembre, la “cassaforte di famiglia” che consente di avere il controllo del Gruppo intero», ora nelle mani dei tre figli avuti dal suo primo matrimonio con il giornalista e scrittore Alain Elkann.


Margherita Agnelli tornò sui suoi passi quando scoprì l’esistenza all’estero di un “tesoro” nascosto, anche grazie alle rivelazioni dello svizzero Siegfried Maron, consulente personale di suo padre. Proprio a quest’ultimo - come emerso da un testimone sentito dai pm di Milano in un’indagine poi archiviata - era «fiduciariamente intestata e detenuta attraverso molteplici conti» nella filiale di Zurigo della Morgan Stanley «una provvista direttamente riconducibile a Gianni Agnelli per una cifra complessiva tra gli 800 milioni e il miliardo di euro».

Per questo Margherita nel 2007 citò in giudizio davanti al tribunale di Torino, oltre a sua madre, Maron e gli altri due stretti collaboratori di suo padre, Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti, allo scopo di ottenere il rendiconto dei beni. Sospettava infatti che ai tempi dell’accordo, nel 2004, non le fosse stata rivelata l’intera consistenza del patrimonio paterno. Gabetti è morto nel 2019, tre mesi dopo Marella. Mentre lo studio legale di Grande Stevens, a Torino, è stato perquisito dalla Finanza l’8 febbraio scorso in quanto al 95enne, presidente onorario della Juventus, sono risultate essere (o essere state) riconducibili tre società fiduciarie oggetto dell’inchiesta.
 

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