Erano un bel gruppo a Treia i ragazzi del 1928/’29. Alcuni benestanti come Gian Tommaso, figlio del medico condotto del paese e aiuto chirurgo dell’ospedale della cittadina marchigiana, altri borghesi come Romano, figlio del commissario prefettizio. Un gruppo affiatato che giocava e studiava sempre insieme. Romano era bello, atletico, Gian Tommaso serio e posato: sempre insieme alle elementari, alle medie, al liceo classico al Convitto di Macerata, bocciati anche insieme, al terzo anno. «Io avevo sempre studiato, avevo anche fatto buone prove - racconta Gian Tommaso - Il professore mi disse che ci bocciavano perché ci aveva visti andare a passeggio per Macerata». Era la scuola di una volta, molto severa, quando lo svago era considerato tempo sottratto ai libri, quindi da punire. Un mondo che non c’è più se non nelle parole dei due amici che si separarono per la prima volta all’università: Gian Tommaso andò a Bologna a studiare Medicina, Romano a Macerata a fare Giurisprudenza. «Avevo paura del sangue, per questo non feci Medicina» dice Romano.
Ma non si lasciarono mai veramente anche quando Gian Tommaso Grande si stabilì a Bologna e divenne un affermato oculista, primario prima all'ospedale di Lecco, poi a Pistoia, mentre Romano Sarnari guidò come segretario comunale diverse amministrazioni delle Marche. «Siamo tornati sempre a Treia» dice la figlia del medico, Federica Grande che vive a Bologna. Il padre ha mantenuto costanti i rapporti con le Marche, il suo grande amico e il fratello gemello, dentista deceduto da qualche anno.
In questa storia di amicizia, che attraversa due secoli e che nessun Facebook è in grado di raccontare, ci sono anche i dolori per le persone scomparse. Due mesi fa è morta Carla, la moglie di Romano, aveva 88 anni. «La prima volta che le ho dato la mano aveva 12 anni - dice Romano - mi manca molto, lei diceva sempre: la vita ci ha sorriso, siamo stati fortunati. Ed è vero. La nostra generazione è riuscita ad affermarsi, abbiamo potuto fare tutto. Una volta riunimmo il vecchio terzo liceo: eravamo tutti realizzati, anche chi non era riuscito a diplomarsi o a laurearsi stava bene, aveva messo su un’impresa che funzionava». Erano gli anni del boom economico e dello sguardo positivo sul futuro, quando avere un titolo di studio significava un lavoro e c’era spazio per il merito.
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