Alessandro Gassmann protagonista di “Una storia senza nome”: «Porto al cinema l’Italia cialtrona»

Alessandro Gassmann protagonista di “Una storia senza nome”: «Porto al cinema l’Italia cialtrona»
di Gloria Satta
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Sabato 8 Settembre 2018, 00:53
VENEZIA  Appena rientrato dagli Usa dopo un mese di vacanza, Alessandro Gassmann combatte il jet lag mangiando rigatoni al pesto. Al Lido è l’applaudito protagonista del film di Roberto Andò Una storia senza nome (fuori concorso), «commedia beffarda» che si tinge di giallo, sconfina nella love story, sfodera citazioni cinematografiche e colpi di scena. Protagonista è il furto della Natività di Caravaggio, avvenuta a Palermo nel 1969, una vicenda ancora aperta che ha coinvolto mafia e istituzioni. Nel film, in cui tutti hanno segreti, Gassmann, 53 anni, è uno sceneggiatore che ha avuto successo sfruttando la ghostwriter Micaela Ramazzotti, che di nascosto scrive per lui un copione sul dipinto rubato. 

Somiglia a qualcuno il suo personaggio? 
«È un cialtrone, figura drammaticamente presente nella nostra società. Se noi italiani andremo a sbattere, sarà perché ridiamo troppo di noi stessi». 
In che ambito, secondo lei, si manifesta di più questa leggerezza? 
«Nella nostra atavica incapacità di rispettare le regole e dire la verità. Venendo dall’America, dove Hillary Clinton non è stata eletta perché ha mentito, questo atteggiamento mi salta agli occhi con maggiore evidenza». 
Ma il grande cinema italiano, a cominciare dai mitici film di suo padre Vittorio, ha puntato proprio sui cialtroni. 
«È vero. E oggi vedo con dispiacere che ha vinto Bruno Cortona, il protagonista del Sorpasso, un tipo sempre pronto a fregare gli altri. La maggioranza degli italiani, purtroppo, somiglia a lui». 
Non le è mai venuta la voglia di trasferirisi in America? «Certo, ammiro il rispetto per la meritocrazia che c’è là. E non è detto che non decida di svernare oltreoceano». 
Intanto, in Italia, fa cinema, teatro, tv senza fermarsi mai: cosa la motiva a lavorare tanto? 
«Amo trovarmi in difficoltà e fare cose che non ho ancora fatto. Per questo ho girato Una storia senza nome, un film che è dramma, thriller, storia d’amore e commedia. Un’avventura». 
Anche suo figlio Leo, 20 anni, intende recitare?
«No. Mentre studia con profitto all’università affari internazionali e psicologia, ama suonare e cantare. Ha individuato la sua strada, indipendente dalla mia». 
Che cosa ha pensato quando, lontano migliaia di chilometri, ha saputo che la sua casa era stata svaligiata? 
«Sono rimasto male soprattutto perché i ladri hanno portato via i regali che avevo fatto a mia moglie Sabrina in 25 anni di matrimonio. Ma rientro nella media: tutti in Italia hanno subito almeno un furto». 
Tornando al cinema, pensa che la mobilitazione anti-molestie e il movimento #Me Too cambieranno in meglio i rapporti tra i sessi? 
«Mi auguro che portino maggiore rispetto per le donne e leggi più dure per chi commette abusi. Ma sono contrario alla gogna mediatica: la colpevolezza di un presunto molestatore dev’essere decisa dalla giustizia». 
A volte sono le donne a offrirsi per avere un lavoro: lei ha mai subito assalti? 
«No, mai. Non sono mica un produttore. E forse dò l’impressione di stare sulle mie, ho un’aria involontariamente arcigna che tiene gli altri alla lontana. Questo spiega perché le fan danno grandi pacche sulle spalle a Marco Giallini, mio collega in tanti film e grande amico, mentre con me manifestano un atteggiamento diverso». 
Quale?
«Quando vogliono un selfie, chiedono sempre se disturbano». 
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