Brasile-Germania, parla l'esperto Wisnik
«Da depressione a euforia in un soffio»

Brasile-Germania, parla l'esperto Wisnik «Da depressione a euforia in un soffio»
di Alfredo Spalla
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Giovedì 10 Luglio 2014, 11:47 - Ultimo aggiornamento: 15:37
San Paolo

Per spiegare la relazione fra “futebol” e brasiliani ci ha impiegato anni. Dopo numerose ricerche, nel 2008 ha pubblicato “Veneno Remédio: O Futebol e o Brasil”, un testo guida della letteratura sportiva brasiliana. Il giorno dopo il Mineiraço, il professor José Miguel Wisnik - docente di letteratura brasiliana della USP (Universidade de São Paulo), editorialista del quotidiano “O Globo”, intellettuale, musicista e compositore – ci concede un’«intervista molto sofferta», soprattutto per le tematiche affrontate.

Professor Wisnik, come si è svegliato il Brasile dopo il 7-1 con la Germania?

«Stordito, ovviamente. Dal mio punto di vista posso dire che la Coppa senza Neymar aveva perso la grazia. Neymar rappresentava la gioia, l’arte del calcio brasiliano. Ero preparato a una sconfitta, ma non di queste proporzioni».

Cosa stanno provando i tifosi brasiliani ora?

«La questione è la stessa che tratto nel mio libro: la facilità con cui passiamo dall’euforia alla depressione. Dall’ottimismo al realismo. È una sindrome tipica della tifoseria brasiliana, a cui piace essere gratificata. I brasiliani non vanno allo stadio per sostenere la squadra, ma per essere coccolati. Le persone che, a Belo Horizonte, lasciano lo stadio nell’intervallo ne sono la dimostrazione. Gli argentini non l’avrebbero mai fatto, nemmeno con una sconfitta di 5-0».

Dopo l’esaltazione, alla Granja Comary sono apparsi i primi striscioni di protesta e il paese chiede le dimissioni di Felipão.

«Il Brasile oscilla costantemente: ecco perché è capace di vincere 5 Mondiali e di perdere 7-1. In questo rivedo la nazionale del 1950, capace di perdere il carattere da un momento all’altro».

Forse il passato è stato un nemico piuttosto che un amico.

«L’immaginario è un’altra cosa che ci affascina. Ci piace pensare che il passato e le coppe precedenti scendano in campo».

Il paese, però, ha reagito in maniera piuttosto moderata, matura.

«Sì, concordo. Ma anche nel ’50 non ci furono reazioni contro tifosi avversari. Quello era un Brasile diverso, senza vie d’uscita, senza prospettive. Oggi questa catastrofe s’inquadra in una situazione nazionale differente, migliore se vogliamo».

Alcuni media l’hanno definita come la vittoria della competenza tedesca sulla malizia brasiliana.

«Mi sembra uno stereotipo semplicistico. Non penso che questa nazionale fosse maliziosa. Il Brasile ha perso il contatto con la propria tradizione sportiva. Non ha recepito un messaggio d’innovazione che arrivava da Olanda, Spagna e Germania».

Un messaggio trasversale?

«La riforma della federazione sportiva non dovrebbe essere differente da quella sociale. Scolari è stato un animatore piuttosto che un pensatore. Non ha seguito i cambiamenti. Il risultato rispecchia la nostra situazione. Il 7-1 è un’indicazione chiara, un allarme, un’urgenza. La riforma e la voglia d’innovazione sono le stesse rivendicate in strada durante la Confederations Cup».



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