Corruzione per i migranti, il teste: «Ecco come ho dato i soldi ad Antonio Salvati»

Corruzione per i migranti, il teste: «Ecco come ho dato i soldi ad Antonio Salvati»
di Vincenzo Caramadre
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Giovedì 12 Dicembre 2019, 11:51
«A Salvati ho dato la liquidazione di mio padre e anche un buono di mio nonno». Inchiesta sulle presunte tangenti per la gestione dei migranti: entra nel vivo il processo nei confronti di Antonio Salvati, l'ex presidente dell'Unione dei Comuni Antica Terra di Lavoro, in carcere dal 14 giugno scorso e presente, Ieri mattina al Tribunale di Cassino, dinanzi al collegio penale presieduto dal giudice Perna, è stato ascoltato il commercialista Saverio Rea, vittima della presunta concussione continuata, messa in piedi da Salvati per quasi 4 anni. L'uomo ha risposto alle domande del Pm Alfredo Mattei, ma è anche stato incalzato dalle contestazioni dagli avvocati Dario De Santis e Ivan Santopietro, che assistono Salvati.

«Salvati - ha spiegato Rea (assistito dall'avvocato Luciano Manga)- l'ho conosciuto nel 2013, quando ebbi un incontro con lui e l'allora suo vice sindaco Paolo Fallone (ora sindaco di San Giovanni Incarico, ndr). Costituii una cooperativa, dopo un appalto per la gestione di un progetto di accoglienza migranti con Unione dei Comuni, comincia ad avere rapporti diretti con Salvati. Mi cominciò a chiedere somme di denaro, in un primo momento pensai a un contributo una tantum, ma poi sono iniziate le minacce, fino al ricatto esplicito: mi devi dare i soldi altrimenti non ti faccio pagare le fatture».

Salvati avrebbe chiesto somme tra i 4 mila e 5 mila euro ad ogni scadenza di fattura, con precise raccomandazione sul comportamento da tenere. «Vieni sempre solo, sennò andiamo in galera, tu hai due figli piccoli da campare», sarebbero state le parole di Salvati. «Ad ogni incontro - ha proseguito Rea - mi ricordava che avevo due figli, con minacce esplicite del tipo: ti incendio la casa, ti taglio il collo, so dove vanno a scuola i tuoi figli».


Ma Rea ha anche spiegato come ha reperito i soldi. «Ho prosciugato i conti della mia famiglia: di mia madre, mia nonna e un altro parente il quale mi ha prestato i soldi che poi ho restituito. A Salvati ho dato un buono di mio nonno, che avevamo appena riscosso, ma anche la liquidazione di mio padre. Tutti soldi in contanti, per un importo totale, dal 2013 al settembre 2017, di 250 mila euro». Spiegate anche le dinamiche comunicative e la consegna delle mazzette. «Mi mandava un sms dove mi diceva che mi avrebbe portato i documenti per il 730, ma mi realtà era la comunicazione in codice per preavvisarmi che sarebbe venuto a casa, suonava uscivo e mi portava in bar limitrofi tra Castrocielo e Colfelice.

La consegna dei soldi un paio di volte è avvenuta in auto, per il resto andavo alla sede dell'Unione dei Comuni, nell'immobile in piazza a San Giovanni Incarico, la sera tra le 19.30 e le 20, suonavo, lui mi apriva. Non c'era mai nessuno, ma dovevo simulare, a voce alta, la richiesta di andare in bagno, dove c'era un secchio dell'immondizia, e depositavo la busta con i soldi. Sempre su sua indicazione, dovevo scaricare il wc e andare via». A precisa richiesta del Pm su tale metodo, Rea ha risposto: «Aveva paura di essere intercettato, spesso mi faceva nascondere anche il telefonino. Ho sempre taciuto per paura, non ero più il Saverio che tutti conoscevano».


La difesa di Salvati ha duramente contestato la ricostruzione di Rea, incalzandolo sul fatto che già prima del 2013, con altra cooperativa, aveva lavorato con l'Unione dei Comuni e contestandogli che non «ci sono tracce di prelievi di soldi» che lui avrebbe consegnato all'imputato. La prossima udienza ci sarà 28 gennaio prossimo. La difesa di Salvati ha annunciato la richiesta, al collegio, di scarcerazione.
 
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