Elezioni, il sondaggista Risso: «Il partito degli astenuti cresce ancora, tanti disorientati dalla caduta di Draghi»

Il direttore scientifico di Ipsos: "Potrebbe esserci un forte flusso di elettori tra partiti della stessa area"

Elezioni, il sondaggista Risso: «Il partito degli astenuti cresce ancora, tanti disorientati dalla caduta di Draghi»
di Francesco Bechis
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Domenica 25 Settembre 2022, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 00:13

Chi resta a casa per protesta, chi perché, in fondo, non ha scelta. L’astensione si fa e si subisce anche, spiega Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos


Saranno urne piene?
«La sensazione è che il partito dell’astensione sia cresciuto. Ma bisogna attendere i dati ufficiali». 

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Perché le file del non-voto si ingrossano?
«Per diverse ragioni. In questo caso, c’è una quota di elettori che non ha capito fino in fondo il motivo della caduta del governo Draghi». 


A cui è seguita una campagna lampo, in piena estate, e una rincorsa su TikTok. Serve a qualcosa?
«La campagna online serve solo ad accendere la passione dei propri elettori. I leader parlano alla loro bolla e provano a mobilitarla. Difficile spingersi oltre».


Cosa spinge gli elettori a stare a casa?
«Ci sono diversi tipi di astensione. Una è fisiologica, anzi fisica. Ci sono circa 2 milioni di italiani anziani o con difficoltà motorie che non riescono a recarsi all’urna». 


A cui si aggiungono i fuori-sede.
«Tra i 4 e i 5 milioni. Elettori che vivono a più di 150-200 chilometri di distanza dal comune di residenza e faticano a tornare».


Un guaio italiano. In Ue, tranne a Cipro e Malta, non esiste un vincolo di residenza.
«Un problema molto serio. La scheda elettronica presenta rischi di frode, me ne rendo conto, ma una soluzione va trovata». 


Fin qui l’astensione obbligata. Poi c’è la protesta, giusto?
«Esatto. Anche qui con dei distinguo. I più giovani disertano le urne per disinteresse, gli elettori nella fascia tra i 30 e 60 anni spesso per delusione verso un partito o per punirlo».


In ogni caso, continua a salire. È sempre stato così?
«No, basti pensare che alle prime elezioni politiche nel 1948 gli astenuti erano il 7,8%. L’ondata antipolitica seguita a Tangentopoli ha dato il la. Dal 2013, un’ascesa inesorabile. Fino all’ultimo picco, nel 2018, con il 27,1% di astenuti». 


Poi c’è chi alle urne ci va, ma non vota. 
«E ha due opzioni. La prima è inserire una scheda bianca, immacolata».


A che pro?
«È una forma di protesta, per decenni è stata la più diffusa. Nel 1948 le schede bianche erano 164mila. Nel 2001, all’alba del secondo governo Berlusconi, sono arrivate a 1 milione e 688mila».

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A cosa serve?
«Non è una sfiducia tout-court del sistema elettorale, perché a differenza dell’astensione riconosce e rispetta le regole del gioco, ma un segnale contro i partiti da cui l’elettore non si sente rappresentato. Negli anni ‘70 la sinistra extraparlamentare invitava a votare scheda bianca». 


Adesso invece le urne si riempiono di schede annullate. Qual è la differenza?
«È un segnale ancora più forte contro il sistema dei partiti. Ma una grande quota di schede viene invalidata per errore». 


Non solo astensione. C’è anche chi rimane in bilico, fino all’ultimo.
«Gli indecisi, anche loro in crescita, soprattutto all’interno delle rispettive aree politiche». 


Ovvero?
«All’interno del centrodestra così come dell’ampia offerta progressista che comprende Terzo Polo, Democratici e progressisti e Cinque Stelle, c’è una quota consistente di elettori che oscilla. Persone tentate da un cambio partito ma che non sono pronte ad abbandonare l’area politica di riferimento». 


Quindi è plausibile attendersi qualche sorpresa dai flussi di voto tra partiti alleati?
«Solo le proiezioni finali potranno dirlo. Ma dalle ultime intenzioni di voto è plausibile che si ripeta uno scenario simile alle europee del 2019, dove i flussi tra partiti della stessa area sono stati consistenti».
 

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