Milano è la città della nebbia, almeno secondo un vecchio storytelling. Ma adesso è diventata anche la capitale del fumo negli occhi. Immagine traducibile così. È mai possibile che in piena pandemia, e nella regione che ha dato il peggio in questa emergenza a due ondate, con il tasso di defunti tra i più alti del mondo e che ieri ha superato la soglia dei 20 mila morti (quasi la metà di tutti quelli italiani: 47 mila), diventi una priorità il divieto di accendersi una sigaretta all’aria aperta?
Da gennaio, così ha deciso il consiglio comunale di Milano, ci sarà la proibizione della boccata di nicotina. Tranne che in luoghi isolati. Dalle fermate dei mezzi pubblici ai parchi, fino ai cimiteri e alle strutture sportive, come per esempio gli stadi, sarà proibito fumare nel raggio di 10 metri da altre persone.
Non che vada difeso il fumo, ma figuriamoci. Però usare il fumo come fumo negli occhi dei cittadini - che vorrebbero risposte che non hanno sulle cose importanti: la difesa dal morbo, l’organizzazione territoriale della prevenzione e della cura, una classe dirigente che sia tale, una Regione che funzioni e l’assenza di ogni fumosità gestionale sul Covid - più che una profilassi è un’ipocrisia.
La propaganda salutista nei luoghi in cui la salute non si è rivelata al primo posto nella gerarchia della politica locale fa ridere, se non stessimo vivendo lassù al Nord come quaggiù nel resto d’Italia una tragedia epocale.
No alle sigarette nella città in cui bisogna fare una fila di nove giorni per cremare le vittime del virus.
La sigaretta come diversivo, ecco. Il Nord che cerca di dare lezione, ma ancora una volta è una lezione sbagliata.