Il ritratto/Giorgio Napolitano, quel politico doc contro il virus dell’anti-politica

di Mario Ajello
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 21:15

Una rappresentazione della dignità della politica. Questo il segnale, segnale in controtendenza, che viene dal funerale di Napolitano. La politica intesa non come qualcosa di negativo, come interesse partitico e particolare ai danni dell’interesse generale, come un gioco di potere staccato dalla realtà del Paese e dal bene pubblico. Nell’esempio di Napolitano e nel bisogno di celebrarlo ai massimi livelli con un funerale di Stato che ha fatto parlare di noi in tutto il mondo - sottolineando che esiste un brand Italia e una eccellenza italiana che si chiama gestione della cosa pubblica, quando è ben praticata - c’è il tentativo di rivendicare il valore dell’impegno istituzionale inteso come sforzo per la crescita di una nazione che nell’andazzo degli anni scorsi, ora c’è un positivo ricredersi ma occhio alle ricadute, è stato vilipeso e delegittimato in tanti modi irresponsabili e dannosi. 


Non a caso proprio Napolitano si è fatto alfiere, apprezzato da tutti senza distinzioni ideologiche e partitiche, della lotta all’anti politica (che può essere di tipo piazzaiolo o anche giudiziario). Una lotta non ingaggiata per una autodifesa di casta ma in nome della convinzione che soltanto una azione pratica legata alla soluzione dei problemi dei cittadini potesse diventare lievito di nuova fiducia e fattore di nuovo slancio per l’Italia nella competizione con gli altri Paesi. Il realismo di Napolitano, che non ha avuto colore politico netto ed escludente e che è la ragione per cui la sua scomparsa viene rimpianta e celebrata da tutti, appartiene non alla sinistra ma a un patrimonio - oseremmo dire cavurriano e il Conte era un idolo di Napolitano - dell’Italia liberale che viene da lontano, dal tempo della destra storica. Quella scuola di patriottismo e di politica che a dispetto del tempo appare ancora come la più moderna e la più utile al futuro.

In quanto pragmatica e dotata di quella lucidità che nulla concede alla demagogia e non è mossa dalla esclusiva logica elettoralistica di corto respiro. 


Senza il due volte presidente Napolitano, sarebbe mancato il più evidente antidoto al populismo antipartitico, al consociativismo cattocomunista e agli altri vizi della sinistra nostrana. Di cui Napolitano era un conoscitore profondo e perciò sapeva valutarne tutta la pericolosità. Il virus dell’anti politica lui lo considerava letale e - come disse nel dicembre del 2014 all’Accademia dei Lincei – “è degenerato in patologia eversiva. Urgente si è fatta dunque la necessità di reagirvi, denunciandone le faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni, impegnandoci in pari tempo su scala ben più ampia non solo nelle riforme istituzionali e politiche necessarie, ma anche in un’azione volta a riavvicinare i giovani alla politica valorizzando di questa, storicamente, i periodi migliori, più trasparenti e più creativi”.


La laicità delle esequie appena celebrate sta anche in questo. Nel contenere un approccio alla politica estremante professionale (Napolitano sarebbe piaciuto a Max Weber) senza cedimenti al moralismo, ovviamente fatto di una morale sempre presunta e spesso vacillante alla prova dei fatti, che purtroppo rientra nella tradizione italiana e ha prodotto ritardi non più sostenibili. 


Non basta un funerale per ristabilire le coordinate della politica ma la scena di queste ore, il modo con cui in maniera bipartisan si è riflettuto sulla lezione di Napolitano, può fungere da stimolo e da doping tecnico e motivazionale per i nuovi governanti.

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