Il caso Cecchettin/La politica divisa (anche) sulla violenza di genere

di Mario Ajello
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Mercoledì 22 Novembre 2023, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 00:02

Compromesso mai al ribasso e concretezza come forma sostanziale del rispetto delle vite e dei bisogni dei cittadini. Se la politica non è questo, non si caratterizza e si auto-potenzia in questo mix virtuoso, finisce per insterilire se stessa, per negare la propria funzione. E per lasciare irrisolte le grandi questioni - e quella del femminicidio e della violenza contro le donne lo è al massimo grado presso la sensibilità dell’opinione pubblica - producendo soltanto rumore da arena politica e televisiva. 

E dunque, attenzione. L’omicidio di Giulia Cecchettin, che ha risvegliato le coscienze, le sta mobilitando e giustamente portando a una lotta dura senza paura contro una barbarie sociale a cui porre rimedio con prontezza, efficienza legislativa e spirito comune, poteva diventare il terreno d’incontro fattivo tra i partiti; il punto di coagulo operativo delle voci dei leader e delle richieste d’intervento che si sono proposte e si stanno proponendo in questi giorni nelle istituzioni e nei media (con tanto di protagonisti dello spettacolo, di scrittrici e scrittori, di intellettuali e di influencer che dicono la loro e bene fanno); e l’occasione di fare buona politica su una materia così rilevante.

 
E invece quello che poteva essere - visto che tutti sono d’accordo sulla finalità: mai più un caso Cecchettin - un momento di serietà e di pragmatismo si sta trasformando, irrispettosamente per le vittime della violenza di genere ma anche irriguardosamente per la dignità della politica, nel classico bla bla. Farcito e mantecato di differenziazioni retoriche, di “la mia ricetta contro la tua”, di rivalità di Palazzo e da talk show, di grida e contro-grida più dettate dalla propaganda che dal realismo dei sentimenti. Una gara a distinguersi rispetto agli avversari e anche agli alleati, una competizione a chi riesce meglio a lustrare la propria immagine (su un tema in cui questi calcoli non andrebbero minimamente pensati) a detrimento di quella degli altri. Il solito riflesso condizionato per cui la sinistra come sempre prova a dimostrare che la vittima paga un clima creato dalla destra e la destra come sempre prova a dire che la sinistra specula sulle vittime. 


Tutti insieme, nella cacofonia che genera vapore acqueo e distrae dalle cose da fare e da fare subito con misure di pronto impiego senza dilaniarsi nel gioco delle sfumature e degli sgambetti, appaiono avvolti in una nuvola - i piedi per terra, una volta tanto, no? - così composta: l’omicidio compiuto da Turetta è «colpa del patriarcato», macché sono le «mamme anormali» che traviano i figli maschi, anzi no è più colpa della scuola che della famiglia o forse è colpa non solo di chi ha ucciso ma di tutti i maschi italiani e del mondo che devono sentirsi corresponsabili dell’assassinio.

O è colpa soprattutto e genericamente del deficit di «educazione sentimentale» dei nostri ragazzi? Della loro disabitudine all’«affettività» e la scuola fa poco per insegnarla? E ci sono dietro il fattaccio più le tare delle famiglie tradizionali o quelle delle famiglie progressiste? C’è chi sentenzia: “La verità è che non esistono maschi progressisti”.

E chi assicura: “Anche le donne sono cattive come il diavolo”. 


Quanto inutile sfoggio di sociologismo e di auto-referenzialità. Quando servirebbe, al contrario, concentrazione, lucidità e azione. La differenziazione degli approcci e delle virgole, questa corsa al premio della visibilità a buon mercato e a voler far prevalere un’analisi o pseudo-analisi su quella degli altri, produce oltretutto un danno evidente: depotenzia la forza del messaggio che dovrebbe arrivare, netto e chiaro, ai maschi di tutte le età. E cioè che avremo a breve provvedimenti duri per cui nulla più sarà come prima in materia di violenza sulle donne. 
La capacità di compattarsi, specie quando esistono tutti i presupposti morali, ideali e politici per farlo, distingue la buona politica dalla politica andante.

L’incapacità a trovare una mediazione tra le mie posizioni e le tue confondendole e rafforzandole a vicenda, specie quando non sono sostanzialmente lontane rispetto all’obiettivo finale, dimostra una miopia che non fa bene né a chi la pratica né al sistema in generale. Tradisce - perfino su una materia che naturalmente andrebbe trattata con spirito di collaborazione e di comune vicinanza alle vittime senza troppo cavillare e speculare - l’insicurezza di troppi soggetti politici (e l’insicurezza porta sfiducia), un’ossessiva tendenza a innaffiare il proprio orticello, un sordo timore di perdere qualche fettina di consenso e una spasmodica ansia di conquistare qualche favore in più, che non sono un buon segnale agli occhi di guarda lo spettacolo. E chiede alla politica di alzare il livello della propria reputazione. Ma rischia per ora di essere deluso nelle aspettative.

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