Mario Ajello
Mario Ajello

Operazione storica/ Il successo di un Paese che funziona

di Mario Ajello
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Martedì 17 Gennaio 2023, 01:40

Una sorta di entusiasmo popolare ha accolto la notizia dell’arresto del boss super-latitante Matteo Messina Denaro. Le scene di giubilo, a Palermo e non solo lì, nei luoghi pubblici e negli uffici, nei Palazzi istituzionali e nei palazzi del tessuto civile in cui viviamo noi tutti, raccontano un Paese che sa riconoscere un risultato evidente e che anche sulla base di questo - lo Stato evidentemente c’è - è pronto a credere in se stesso, appena gli viene data la ragione per farlo. E questa volta la motivazione, il fondamento per rivelarsi fieri di ciò che siamo - una nazione che vuole sentirsi libera da ogni giogo e quello mafioso è il peggiore di tutti - esiste eccome. 
L’arresto di Messina Denaro, la cui notizia ha fatto il giro del mondo, è una riprova di patriottismo dei fatti e non di patriottismo retorico. La dignità internazionale dell’Italia e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, ovvero i due fattori che fanno forte un Paese, trovano nella cattura del boss una spinta che proietta l’Italia in prima fila tra le nazioni degne di protagonismo nel mondo nuovo della post-pandemia, della ricostruzione e della ridefinizione degli equilibri nella competizione virtuosa sullo scacchiere europeo e in quello più generale. E’ un incoraggiamento, ciò che è accaduto a Palermo-Italia, rivolto all’interno e all’esterno a credere nel nostro sistema e a liberarci dal cliché - come tutti i cliché non privo di una parte di verità - di luogo insicuro e inquinato dalle mafie. 

L’evento che si è appena verificato è uno di quelli che vanno oltre il fatto in sé e ha un riflesso benefico sui destini di un’intera comunità, ci rafforza e si proietta su tutto. Perfino sul Pnrr e sulla quantità di denaro connessa e da spendere secondo tutti i crismi di trasparenza e di legalità in un Paese che è più sano di quanto lo si voglia rappresentare secondo la classica lagna che è uno degli sporti indigeni più assurdamente praticati o una malattia ereditaria di cui stentiamo a liberarci ma dobbiamo farlo perché ce lo impongono la decenza e l’interesse nazionale. Queste ultime due categorie, per niente concettuali e profondamente fattuali, sono insite in ciò che è accaduto a Palermo-Italia. E c’è appunto da gioirne. Perché anche gli scettici hanno avuto la conferma, guardando le immagini quasi normali - a dispetto di un Paese abituato all’eccezionalità: l’arresto di Brusca pareva un film pirotecnico modello Narcos - dell’uomo con lo zuccotto che nella casa di cura viene portato via dai carabinieri del Ros, che lo Stato sia pure con tutti i suoi limiti e i suoi ritardi funziona e che vale la pena credere nell’Italia quando fa l’Italia.

Invece di attardarsi in sterili e insignificanti atteggiamenti anti-politici per cui tutto, in una logica demagogica e auto-penalizzante, va male e non può che andare così. Il che non è vero affatto, e quando c’è una possibilità di ottimismo, com’è questa, va non solo colta pienamente ma anche valorizzata in tutta la sua importanza che travalica la stretta cronaca e va a incidere nel cuore della politica e dello sviluppo economico italiano.

E allora, è come se si fosse alzato sulla Penisola, ieri mattina e lungo tutta la giornata, un grido di liberazione. Non di quelli aleatori, ma sostanziali. Come spesso accade, la reazione popolare è stata quella che ha saputo interpretare meglio l’accaduto e quella in cui si può leggere più precisamente il cambiamento della coscienza collettiva rispetto al fenomeno mafioso. Tutti ricordiamo la risposta corale dei cittadini dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio e la nascita in quel momento di una reazione e di un rifiuto implacabile dell’Italia sana - cioè praticamente tutta - rispetto a Cosa Nostra e al sistema criminale.

Ma a fare impressione, su come nel tempo è cambiato il nostro Paese e su come non si tornerà mai indietro, è anche questa doppia immagine. Le scene di entusiasmo anti-mafioso di ieri sono l’opposto degli applausi, delle feste di piazza, della gioia spontanea ma anche organizzata che accolsero a Palermo il mandante del famoso omicidio Notarbartolo - l’ex sindaco palermitano e presidente del Banco di Sicilia, figura integerrima e scomoda, fu ucciso nel 1893 - quando la Cassazione annullò la sua condanna.

Questo per dire quanto, lungo il tempo anche molto lungo e tra rese ed errori, eroismi e tradimenti, stop and go, incapacità e professionalità, grazie all’azione dello Stato e alla ribellione delle persone, il potere della mafia e la sua accettazione sociale siano stati, se non debellati, ridotti. E il successo di queste ore è il frutto di tutto ciò. Non è fuoriluogo sentirsi pienamente soddisfatti, o addirittura raggianti, di fronte a un dato empirico che soltanto eccessi ideologici - lo Stato non funziona mai per definizione e c’è sempre un “doppio Stato” che un po’ ci rappresenta e un po’ no e altri spropositi di questi tipo - possono provare a oscurare, ma più sulla base dei pregiudizi che dell’analisi realistica delle cose, invece che riconoscere per quello che è. Ovvero, ma guai a esagerare nell’enfasi o nello scambiare la vittoria in una battaglia per la vittoria in una guerra, una riprova dell’eccellenza italiana.

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