Oltre la piazza/Il percorso di Schlein e l’interesse del Paese

di Mario Ajello
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Domenica 12 Novembre 2023, 23:57 - Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 19:02

Un’opposizione composta e responsabile serve in una democrazia matura. E l’attuale leadership del Pd, sia pure con qualche concessione alla retorica barricadera che fa parte del gioco, sembra mostrare - come s’è visto nella piazza di sabato - una certa capacità di non eccedere nella delegittimazione dell’avversario. 
Questo lo si riconosce anche a destra e nel rapporto tra Elly Schlein e Giorgia Meloni, fatto naturalmente di dialettica senza sconti da nessuna delle due parti, si intravede quel tratto di reciproco riconoscimento che segnala forse uno scatto di consapevolezza rispetto all’interesse nazionale - non dilaniarsi in dispute animate soltanto dalla propaganda e infruttuose per le sorti della nazione - che conviene non soltanto a loro due ma all’intero sistema Paese. 


La piazza del Pd non è stata una piazza estremista e demonizzante, e questa è una buona notizia. Che non è sfuggita alla destra di governo. Svolgere il ruolo dell’opposizione senza mostrificare l’altra parte - do you remember quando Berlusconi veniva a torto soprannominato il Cavaliere Nero o quando ci si aspettava dal governo Meloni chissà quali nefandezze che non sono arrivate e non arriveranno? - è un aspetto interessante. Sperando che duri nel corso della lunga campagna elettorale che tra sette mesi sfocerà nel voto delle Europee e che diventi il segno distintivo dell’ascesa ai vertici della destra e della sinistra di due donne libere dalle ideologie tradizionali (già Meloni sta dimostrando di esserlo e Schlein tutte le possibilità per imboccare questa strada) e dalle appartenenze vetero-militanti e che si riconoscono per quello che sono: competitor in un confronto in cui valgono le idee e i programmi, anche se in questo la sinistra è più indietro ma i processi politici richiedono il loro tempo per svilupparsi e imboccare un cammino sperabilmente virtuoso. 


E’ prezioso anzitutto il lavoro in Parlamento. E il Pd ha nelle istituzioni una riserva di competenze e di esperienze che consente di svolgere un compito costruttivo, senza che la sinistra - diciamo anche la sinistra migliore e che proviene da culture che le appartengono storicamente, come per esempio quella del garantismo - ceda al richiamo della foresta del minoritarismo e del massimalismo insensibili e dannosi nei riguardi dei destini nazionali, all’improduttiva ideologia del no e poi no a tutti i costi e per tutto e su tutto. Occorre, appunto, un surplus di riformismo dallo sguardo largo e lungo e una leader giovane come Schlein può avere la consapevolezza di praticarlo e di farlo praticare. 


I dem nostrani hanno oltretutto la possibilità di attingere, in diretta, a lezioni che vengono dai partiti fratelli in Europa e fuori dall’Europa: basti pensare a come il cancelliere socialista Scholz abbia giudicato positivo il memorandum del governo italiano con l’Albania sugli immigrati e come il nuovo leader del labour inglese, Starmer, consideri l’«esternalizzazione dell’accoglienza» una soluzione praticabile. 


Il valore base, non astratto ma concretissimo, non spirituale ma laicamente condotto, non può che essere quello dell’impegno, ognuno nel proprio campo, ognuno secondo il proprio ruolo, per il funzionamento dell’Italia e per il rafforzamento del Paese nel concerto della politica internazionale. Un Pd schleineriano libero da pulsioni faziose può fare il bene di se stesso e di tutto il contesto generale. Va dato atto alla segretaria dem che, in fatto di politica estera, sta facendo argine alle tendenze che sono proprie del suo campo e che riguardano gran parte del popolo della sinistra: ovvero non parteggiare veramente per l’Ucraina e non parteggiare minimamente per lo Stato di Israele, ovvero mettersi fuori da quell’occidentalismo che viceversa Meloni pratica con convinzione. Ecco un caso in cui la leader del Pd sia pure in controtendenza rispetto a parte del suo mondo non recede, e a Palazzo Chigi le riconoscono questo coraggio, dall’obbligo della difesa di un fronte che è il fronte su cui l’Italia si è assestata. 
Forse è proprio questo tentativo di tenere la barra dritta, senza cedere troppo alle classiche demagogie sinistresi, che spiega il fatto che al momento i sondaggi non sorridono al Pd.

Ma farsi annichilire dai numeri, e dalle comodità delle posizioni meno lucide e più ideologiche, finirebbe per diventare un danno per il Pd e un non aiuto all’Italia. 


La fatica di Elly è quella di dover tenere dentro lo stesso partito gli opposti, il riformismo e il movimentismo, ed è un cimento per niente facile. Per non dire di quanto sia complicato il rapporto con Conte, il quale ancora rimpiange il reddito di cittadinanza. C’è poi un’altra considerazione da fare. Una destra che non si è rivelata caricaturale come a sinistra si sperava e ci si aspettava, anzi fa di tutto senza complessi d’inferiorità e con buoni argomenti per essere all’altezza dell’impegno di governo, può aiutare il Pd e forse lo sta già facendo a darsi un’identità fattiva e non velleitaria. 


Quella che le è richiesta dai cittadini di qualsiasi colore politico essi siano. Per Schlein si tratta di costruire un progetto (la piazza non basta) credibile e capace di oltrepassare ogni recinto e ogni appartenenza, sperimentando il linguaggio delle cose e non quello degli sbandieramenti. Non servono l’illusione della spallata o le scorciatoie (ovvero sperare che nemici esterni mettano in difficoltà il governo italiano) che finirebbero per indebolire non la destra ma il Paese. Occorrono invece una visione e un programma serio e fattibile, o la politica è questo o non è, Schlein arrivata ai vertici del partito dopo tante occasioni mancate da altri può avere le carte giuste se sa riconoscerle. 


Può prendere ad esempio, nel modo di fare opposizione non pregiudiziale, proprio da Meloni che negli scorsi mesi ha lavorato per creare un’alternativa reale e ce l’ha fatta. Imboccando il percorso della responsabilità e della concretezza, e delle convergenze e della mediazione quando servono, se non si arriva alla «pubblica felicità», come la chiamavano gli illuministi nel ‘700, si può approdare comunque, senza lacerazioni eccessive e nel rispetto della giusta dialettica democratica, a qualcosa che le somigli e che valga per tutti.

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