Pio d'Emilia
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Digitale, il Giappone verso la rivoluzione

Digitale, il Giappone verso la rivoluzione
di Pio d'Emilia
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Lunedì 8 Febbraio 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 04:01

La guerra è tutt’altro che finita. Ma un po’ di luce in fondo al tunnel si vede. E qualche riflessione sul dopo Covid può e deve essere fatta. Cosa ci aspetta? Che tipo di società si prospetta davanti a noi? Torneremo a lavorare in ufficio o approfitteremo per istituzionalizzare, magari perfezionandolo, il cosiddetto smart working, il telelavoro? Finiremo per diventare tutti hikikomori, (persone che, per vari motivi, decidono di “ritirarsi” dalla società, chiudendosi in casa) o diventeremo piuttosto tutti “nomadi digitali”, in grado di lavorare e produrre ovunque, guadagnando magari un po’ di meno (e non è detto…) ma migliorando enormemente la nostra qualità di vita? 


In Giappone, Paese dove il lockdown, per quanto blando, ridotto e volontario, ha costretto una società digitalmente molto arretrata a correre ai ripari (esattamente come è successo in Italia, con l’improvvisa diffusione di computer, tablet, smartphone e quant’altro, colmando in pochi mesi un ritardo di decenni) è in corso un interessante dibattito. 


C’è chi parla addirittura di un effetto benefico della pandemia: l’occasione per compiere scelte necessarie ma difficili, da tempo annunciate ma mai davvero prese in considerazione, perché socialmente e politicamente rischiose. Parliamo del passaggio alla cosiddetta Fase 5.0 della società, altrimenti detta “supersmart” o “cyberfisica”. Un sistema integrato e ecosostenibile, alimentato dalle nuove tecnologie digitali, banche dati, intelligenza artificiale e robotica, dove cyberspazio e spazio fisico sono sempre più interconnessi e funzionali non solo al miglioramento della produttività (e Dio solo sa quanto il Giappone, ultimo tra i Paesi Ocse, in questo settore, ne abbia bisogno) ma della qualità della vita.

E anche qui, fatta eccezione per le sue metropoli, di gran lunga tra le più “vivibili” del mondo, il Giappone ha sicuramente bisogno di cambiare passo. Basti pensare alla banda larga, tutt’ora assente nell’80% del territorio. Peggio dell’Italia. 
Ma non è un discorso semplice. Scoprire che buona parte – la maggior parte – del lavoro d’ufficio può essere svolto da casa, o comunque come si dice oggi, “da remoto”, potrebbe accelerare un fenomeno già in corso da prima della pandemia. Quello del lento, ma progressivo, abbandono delle grandi città, del ritorno in provincia, nelle campagne, al mare. 


Un sogno, per molti, ma anche un incubo, per alcuni. Soprattutto per gli amministratori delle grandi, moderne, metropoli: quelle appunto come Tokyo, Osaka, piuttosto che Seoul, Hong Kong o la stessa, tanto decantata, Singapore, diventate quello che sono oggi non tanto per la loro bellezza, la loro storia, i loro monumenti, quanto perché c’era il lavoro. 


Ora che il lavoro lo si può fare da casa, perché farlo in un appartamento piccolo e rumoroso, disputandosi spesso l’unica scrivania con i figli, con le finestre che danno su un viadotto sempre intasato ed il rumore del treno che passa a ogni ora del giorno e della notte, piuttosto che da una bella casetta sul mare, in campagna o in montagna?
I media ci hanno – giustamente – raccontato per mesi il dramma di alcuni settori, primi fra tutti quelli dei viaggi, dell’accoglienza, della ristorazione ma pochi parlano del fatto che la produttività – e spesso il fatturato degli enti pubblici e delle aziende basate sul lavoro d’ufficio non hanno subito gravi perdite, nonostante i loro uffici si siano svuotati.

Anzi.

Qualcuno sospetta che questa apparente disattenzione sia in realtà un’omissione voluta, e che dipenda dal fatto che le grandi città, i centri commerciali hanno un disperato bisogno di un ritorno alla vita “normale”, fatta di milioni di pendolari che viaggiano, mangiano, bevono, fanno shopping, poco importa se questo avviene a costi sempre meno sostenibili, sia fisici che mentali. Per non parlare del settore immobiliare, sempre più concentrato in poche mani, che rischierebbe di crollare se le aziende, scoprendo di poter lasciare a casa i propri dipendenti, si accontentassero di poche stanze di rappresentanza piuttosto che affittare, a costi sempre più esorbitanti, un piano o un intero edificio.


E se il Covid finisse per far scattare la “Grande Fuga” dalle città regalando finalmente ai giapponesi l’occasione per condurre una vita meno faticosa? Gli inglesi hanno le Ebridi, dove nonostante il clima impietoso pare sia in atto un vero e proprio esodo di “nomadi digitali”, gli europei Cipro, ma anche (chi lo direbbe?) Tallinn, Tarifa, Tbilisi, tutti posti “digitalmente” avanzati e dal costo della vita bassissimo.

In Asia ci sono varie oasi felici - ma ancora esclusive – come Ubud, in Indonesia, dove pare che oltre a bellissime spiagge e mare incontaminato ci sia la banda larga più veloce del mondo, e varie località più o meno isolate, ma non digitalmente, al sud e al nord della Thailandia.


Basterebbe poco, al Giappone, per trasformare le sue zone rurali, da tempo abbandonate e deturpate da orrendi e posticci edifici, in incantevoli oasi della nuova era digitale.

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