Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Nuovi Mondi/ Le regole che mancano nella corsa allo spazio

di Vittorio Emanuele Parsi
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Giovedì 30 Dicembre 2021, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 17:53

“Just look up!”. Per parafrasare il titolo dell’ultimo successo in onda su Netflix (“Don’t look up!”), conviene forse guardare con attenzione alla volta celeste sopra di noi. In questo caso non per localizzare comete-killer o stelle-guida per i re magi, ma perché lo spazio extra-atmosferico sta diventando maledettamente affollato e le regole tengono sempre meno. Mentre aumenta il numero di Paesi in grado di mettere in orbita i propri satelliti, alla competizione politico-strategica si affianca quella economica e, accanto alla sempre più conclamata militarizzazione dello spazio, stiamo assistendo anche alla sua privatizzazione. Ma i fenomeni, evidentemente, sono molto più intrecciati e difficili da ordinare. 

Le ultime polemiche hanno riguardato il governo cinese e il fantamilionario americano Elon Musk (con i primi che accusano il secondo di aver quasi provocato un paio di collisioni tra i suoi satelliti e quelli cinesi) e il governo di Mosca (che ha sperimentato le proprie armi antisatellite lasciando uno sciame permanente di rottami cosmici). Nel 1494, appena due anni dopo la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo, spagnoli e portoghesi si spartirono il “Nuovo Mondo” e il dominio degli oceani, attraverso il Trattato di Tordesillas, decretando l’esclusione di tutti gli altri.

Come andò a finire è noto: corsari e pirati francesi, olandesi ed inglesi scrissero pagine leggendarie e sanguinose, contribuendo a rendere più concrete le rivendicazioni dei propri sovrani. Certo, lo spazio è infinitamente più vasto di qualunque continente e di qualunque mare ed è un bene pubblico per definizione, dal quale nessuno può essere escluso e del quale nessuno si può appropriare in via esclusiva. Come le infinite secolari contese per il controllo militare e lo sfruttamento commerciale delle rotte marittime internazionali dovrebbero averci insegnato, è proprio laddove le sovranità non possono essere accampate che più facilmente si scatenano le lotte per il potere politico ed economico.Anche nello spazio extra-atmosferico le posizioni e le rotte “buone” per i satelliti non sono infinite e quindi, esattamente come avviene in alto mare, le telecomunicazioni le stanno rendendo sempre più intasate e preziose.

Questo è il senso della militarizzazione dello spazio, resa evidente dal fatto che tutti i principali Paesi – anche l’Italia – hanno dato vita al proprio comando di vertice dedicato alla sicurezza di questo nuovo, decisivo elemento.

Non può peraltro sfuggire che il medesimo intreccio – tra dimensione economica e dimensione politica del potere e tra soggetti pubblici e soggetti privati – che sta caratterizzando questi ultimi trent’anni lo ritroviamo negli abissi marittimi e celesti, rendendo estremamente confusa l’opera di regolamentazione. 
Perché, affinché vengano rispettate, le regole devono essere non solo efficaci nel gestire e ordinare il presente, ma anche nel conferire un orizzonte di stabilità e prevedibilità al futuro. L’ingresso del mercato nello spazio, un mercato che non può che essere strettamente oligopolistico considerata la mole degli investimenti e delle tecnologie necessarie, preconizza una prospettiva di accordi di cartello o una competizione senza esclusione di colpi fondata su grandi concentrazioni verticali (del tipo di quella di Musk). In tutti e due i casi accentua la questione del “potere di mercato” – quello che deriva ai (pochi) attori più forti dalla loro posizione in quello specifico mercato (o in più mercati collegati tra loro: dal chip alle auto, fino ai satelliti). 

Ci ricorda così un paradosso: che, proprio nell’immaginarsi e proporsi come il luogo della concorrenza perfetta – quello in cui contano solo intuito, merito e performance – il mercato fatica a fare i conti con l’intreccio tra potere e profitto, con la tendenza cioè di chi si trova in una posizione temporaneamente dominante a “fissarla” politicamente. Non solo. Ci rammenta anche che il capitalismo di Stato (alla cinese) e quello privato (all’occidentale) possono convivere e fare profitti insieme, ma anche confliggere e gettare benzina sul fuoco delle rivalità geopolitiche. 

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