Pio d’Emilia
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L’efficiente Giappone ancora senza vaccini

di Pio d’Emilia
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Lunedì 1 Febbraio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 00:43

Paese che vai, vaccino che (non) trovi. Per tutta una serie di motivi, alcuni noti e comprensibili, altri avvolti nel mistero, il Giappone è uno dei pochi Paesi (l’unico del G7) dove non sono ancora arrivati i vaccini anti Covid-19. L’unico disponibile – ma sottobanco e a prezzi esorbitanti - è quello cinese, che alcuni vip locali pare si siano fatti iniettare, più per sfizio, probabilmente, che per reale necessità. Non solo: aldilà dei vaghi e contraddittori annunci di un governo che sulla gestione della pandemia - con le Olimpiadi sempre più vicine (o più lontane) – continua ad annaspare, nessuno ha ancora capito se e quando inizieranno le vaccinazioni, né quale sarà il piano e le priorità adottate. Si parla di metà febbraio, ma anche di marzo inoltrato. Insomma, quando si potrà. Possibile? Possibile. 

Ma la cosa più curiosa è che questa situazione, anziché provocare un’ondata di critiche e di indignazione popolare, non sembra preoccupare più di tanto né le autorità, né i media, né l’opinione pubblica. Molto più preoccupati per una crisi economica sempre più grave, l’aumento della disoccupazione, l’impennata dei suicidi, il tasso di povertà che cresce in un Paese dove il concetto di solidarietà è poco sentito e ancor meno praticato. E dove la gente – poveracci compresi - ha un tale senso del pudore e dell’orgoglio che spesso rifiuta di ricorrere a strutture e sussidi pubblici che pur esistono e di cui potrebbe usufruire. 

Dicevo che ci sono dei motivi, delle ragioni: alcune delle quali comprensibili, anche se decisamente non condivisibili. Il Giappone e i giapponesi non hanno un buon rapporto con i vaccini. Una serie di casi che in passato hanno provocato numerosi morti e costretto il governo a pesanti risarcimenti hanno fortemente indebolito la fiducia dei cittadini (oltre il 36% si dichiara contrario ai vaccini, tout court) e fatto sì che il governo abbia, già da parecchi anni, tolto ogni obbligatorietà. Le scuole giapponesi, di ogni ordine e grado, sono tra le poche al mondo che non chiedono i certificati di vaccinazione, nemmeno le più comuni. I vaccini sono “consigliati”, ma non imposti.

In particolare la cosiddetta trivalente (Mpr) obbligatoria quasi ovunque, è una delle più temute e osteggiate, a causa, come si diceva, di alcuni casi di meningite asettica riscontrati, negli anni ’90, in individui appena vaccinati. Le autorità vennero condannate a ingenti risarcimenti e la Corte Suprema, dopo qualche anno, stabilì che il governo era responsabile di qualsiasi danno provocato non solo da farmaci imposti obbligatoriamente (come i vaccini, appunto), ma anche da quelli regolarmente dispensati dal servizio nazionale per alcuni tipi di malattie croniche.

Un caso per tutti, quello dell’Arava (leflunomide), un farmaco contro l’artrite reumatoide tanto efficace quanto, potenzialmente, mortale (ci furono casi anche in Italia, prima del suo ritiro dal commercio). 

Una sentenza “storica”, quella della Corte Suprema giapponese, che provocò l’immediata reazione del governo. Da allora il Giappone ha sospeso l’obbligatorietà di ogni tipo di vaccino, pur continuando, specie per quanto riguarda quelli normalmente somministrati ai bambini, l’uso. Questo per quanto riguarda il contesto sociale, i motivi per i quali l’attuale, inaudito ritardo non sta provocando l’indignazione dei media e dell’opinione pubblica. Ma poi c’è l’aspetto per così dire politico. E di immagine. Ancora una volta, e purtroppo succede sempre più spesso negli ultimi anni, la pressoché totale dipendenza dagli Stati Uniti – per lo meno in alcuni settori “strategici”, e la sanità pubblica è uno di questi – fa sì che il Giappone finisca per arrivare in ritardo. Non solo i suoi laboratori di ricerca, potenzialmente all’avanguardia, subiscono freni e veti politico-istituzionali: anche i nuovi farmaci provenienti dall’estero debbono, prima di poter essere utilizzati, completare un lungo e tortuoso percorso di sperimentazione in loco, su cittadini giapponesi. 

Nel caso dei vaccini anti-Covid, questo sistema ha da un lato rallentato la realizzazione di un vaccino locale (se ne parla da tempo, ma nulla di concreto all’orizzonte) dall’altro ha costretto il governo a rivolgersi alle stesse aziende alle quali ci siamo rivolti noi europei: Pfizer, AstraZeneca, Moderna. Gli ordini sembrano più che sufficienti: finora sono state “prenotate” (ed in parte pagate, pare) oltre 250 milioni di dosi, circa il doppio della popolazione. Dovrebbero, se tutto va bene, bastare per vaccinare tutta la popolazione. Dovrebbero. Sì perché oltre ai tempi di consegna, alle eventuali (e tutt’altro che improbabili, visto quello che sta succedendo in Europa) inadempienze contrattuali c’è anche l’incognita dell’accettazione sociale. 

Se, come abbiamo accennato sopra, oltre un terzo della popolazione non ha nessuna intenzione di vaccinarsi (e nessun leader politico ha ancora dichiarato che lo farà) sarà difficile che il vaccino, al di là della sua efficacia sui singoli, raggiunga l’obiettivo principale: quello di abbattere il rischio di contagio. E le Olimpiadi sono dietro l’angolo.
 

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