Vittorio E. Parsi
Vittorio E. Parsi

Asse turco-cinese/ La mediazione necessaria per la pace in Ucraina

di Vittorio E. Parsi
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Venerdì 14 Ottobre 2022, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 01:14

Sono davvero ridotte al minimo le speranze di poter individuare il passaggio che possa condurre all’apertura di un serio e credibile negoziato tra la Russia e l’Ucraina, in grado, contemporaneamente, di restaurare la sovranità ucraina, consolidare il sistema internazionale e salvare la faccia a Putin. Ma, da sempre, quando la manovra per linee interne non riesce si tenta quella per linee esterne. Così, non certo per caso, si torna a guardare a possibili interlocutori esterni al conflitto che possano essere ascoltati nelle due capitali. Ma poiché è la Russia il paese aggressore, il supposto mediatore deve avere non solo l’interesse a mediare, ma anche la capacità di poter esercitare pressione sul Cremlino.

L’incontro di ieri tra Putin ed Erdogan ad Astana, in Kazakistan, testimonia ancora una volta l’attivismo diplomatico turco. Uno sforzo apprezzabile, certamente, soprattutto a fronte di un’escalation sempre più preoccupante. Me è difficile che possa portare a qualche risultato: troppo corta la leva di Ankara. Allora gli sguardi sono nuovamente rivolti a Pechino, dove Xi si avvia a trionfare nel prossimo Congresso del partito, dopo che ha sgominato in maniera più o meno corretta i candidati rivali.

La Cina di Xi condivide con l’intera comunità internazionale l’auspicio che le armi tacciano nel cuore d’Europa e ha una certa qual influenza sulla Russia di Putin. Finora l’ha sostenuta: molto esplicitamente nei primi mesi della guerra, in maniera più discreta a mano a mano che le cose si mettevano male per i russi. Si è trattato di un supporto politico-diplomatico che ha consentito a Putin di non finire sul banco degli imputati, appoggiando le sue motivazioni pseudo terzomondiste e avvalorando la “non-verità” di un’aggressività della Nato ai confini russi. Ha mostrato platealmente la vicinanza strategica tra le due capitali, dando molto risalto alle esercitazioni militari (terrestri e aero-navali) congiunte, peraltro programmate da tempo. Molto più cautamente ha fornito anche un timido appoggio militare (attraverso la Corea del Nord), fatto di munizionamento leggero, carri gettaponte, automezzi e qualche blindato: il minimo sindacale per dimostrare “l’amicizia fraterna” che lega i due leader.

D’altronde Pechino non ha mai riconosciuto le annessioni russe del 2014 ed è sempre stata una fiera assertrice dell’inviolabilità dei confini ed è in difficoltà nel mostrare eccessivo sostegno all’aggressione dell’amico moscovita.

In termini molto più prosaici, Xi e la dirigenza del Partito comunista si chiedono quanto stia costando la guerra di Putin (e il sostegno che la Cina fornisce) all’economia cinese. Sappiamo che la Cina quest’anno e il prossimo crescerà molto meno di quanto stimato (e ricalcolato) nel corso dei mesi scorsi. Ed è praticamente impossibile capire quanto della minore crescita è dovuta alle draconiane (e poco efficaci) misure contro il Covid-19 e quanto è imputabile alla guerra. Stime attendibili e precise non ce ne sono. Ma quel che è certo è che l’economia cinese si è vista progressivamente colpita dalle misure occidentali adottate per la sua politica di sostegno all’aggressione di Putin.

È vero che già da tempo le autorità del Partito puntavano a stimolare la crescita del mercato interno, ma persino questa politica diventa più complicata e costosa se rallentano i rapporti con i ricchi mercati occidentali. Certo la Cina non soffre dell’impennata del prezzo degli idrocarburi che stiamo patendo noi: ha aumentato le sue importazioni dalla Russia che peraltro le pratica prezzi “di favore”, molto più bassi rispetto a quelli di mercato. Ma il flusso commerciale tra i due paesi, dopo essere crollato nei primi quattro mesi di guerra sta faticosamente risalendo e non può certo compensare quelli che aveva con Europa e Stati Uniti.

In prospettiva, la forte razionalizzazione della globalizzazione (ovvero l’accorciamento e la messa in sicurezza anche politica delle catene del valore) non è una buona notizia per la “fabbrica del mondo” e il mega progetto della “Belt and Road Initiative” (la nuova via della seta) potrebbe subire un radicale ridimensionamento. Dopo il Congresso, Xi sarà più forte e potrà anche rivedere alcune delle sue decisioni senza timore di essere attaccato. A quel punto una pressione su Mosca perché cerchi attivamente di intavolare concrete e accettabili trattative potrebbe diventare una via praticabile e interessante per Xi, che sa bene che senza una robusta crescita la leadership sua e del Pcc potrebbe indebolirsi.

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