Mario Ajello
Mario Ajello

Dopo il caos a marzo/ La (non) scelta di Palazzo Chigi sulle chiusure

di Mario Ajello
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Mercoledì 21 Ottobre 2020, 00:10

No, lo scaricabarile no. Non può essere, non è mai stato, non dev’essere un requisito della politica come professione, weberianamente intesa, la fuga di un premier e di un governo dalle proprie responsabilità per gettarle addosso ad altri soggetti. Non è ammissibile, se si è classe dirigente, che si finga di spogliarsi del proprio potere e delle proprie facoltà d’intervento, delegando l’uno e le altre fuori dal proprio ambito. Insomma, l’esecutivo Conte che per paura di decidere il lockdown e di intestarsi questa scelta dolorosa la delega a sindaci e presidenti regionali finisce per rispondere più all’etica della convenienza che a quella della responsabilità. E fugge, si sottrae, si nasconde, non si assume l’onere e il rischio - davanti all’opinione pubblica, nei confronti del Paese che vive una fase difficilissima e vorrebbe riconoscersi in una guida sicura e non territorialmente parcellizzata - di una misura estrema com’è quella del lockdown.

Il coprifuoco da seconda ondata può produrre impopolarità e allora lo facciano gli altri, a macchia di leopardo, in un fai da te, e non chi dovrebbe intestarsi la titolarità della cosa. E pensare che una volta, nel terribile marzo scorso, quasi si paragonò a Winston Churchill l’attuale presidente del consiglio italiano. Cioè allo statista che più seppe sfidare l’impopolarità e più fu capace di dimostrare il coraggio - nell’ “Ora più buia”, quella della seconda guerra mondiale - delle decisioni forti.

Se si guardano i sondaggi, anche fingendo di non guardarli, se l’attenzione è tutta concentrata sul quanto scendo, quanto salgo, si finisce per evitare di assumere le responsabilità più gravose pur di non pagarne l’eventuale prezzo. Ma soprattutto nei momenti cruciali per la vita di una nazione - e non dimentichiamoci che spesso la pandemia viene paragonata a una guerra - non devono valere i calcoli legati alle questioni d’immagine e i ragionamenti sui propri indici di gradimento. Tantomeno si può ragionare così: se le cose andranno bene il merito è del governo che ha delegato i poteri locali a farle; e se le cose andranno male, sarà colpa loro e dei cittadini che non hanno rispettato le regole.

L’indecisionismo del governo in questa circostanza può essere figlio dello scivolone dello scorso marzo, quando si chiuse l’Italia intera e invece bisognava chiudere solo il Nord. Ma questo non si fece a causa delle pressioni o dei ricatti egoistici degli imprenditori lombardi, che in nome degli affari misero a repentaglio la salute e l’economia dell’intero Paese.

E fu una prova di disprezzo dell’interesse nazionale che resterà negli annali della Repubblica. Ora non voler mettere la faccia sul lockdown può rivelarsi per l’esecutivo non una grande trovata ma una profonda insidia.

La credibilità politica, che è il vero tesoro nelle mani dei governanti agli occhi dei governati, è sottoposta strutturalmente a una condizione di rischio, perché in primo luogo implica una esposizione chiara e netta - in gergo si dice: ci metto la faccia - di chi prende le decisioni. Ma se le decisioni si evitano o si demandano, proprio quella credibilità viene meno, minando il rapporto di fiducia di un Paese nel suo Stato. Per non correre rischi insomma la sua squadra rosso-gialla corre rischi ancora maggiori. Magari si mette al riparo, nel breve, dal possibile calo di popolarità, ma sottraendo tatticamente al potere centrale la sua primazia finisce per segare l’albero dell’autorità su cui sta seduta.

Nel nesso tra politica centrale e territori, è il governo nazionale che deve condurre il gioco. Non giocando di rimessa. Senza spingere gli altri soggetti sotto i riflettori della critica, per spostare quelle luci scomode lontano da sé. E dev’esserci persino, ma è tutto dire, nello scansare la responsabilità del lockdown, l’intento di Conte di non attirarsi polemiche del tipo assai in voga tra quelli che vedono dappertutto pericoli (inesistenti) per la democrazia: si comporta come un accentratore, si crede un dittatore, è un autoritario statalista, e altre amenità a cui Conte non dovrebbe minimamente badare. Ma se vuol piacere a tutti, se vive con l’incubo del calo del gradimento da parte degli italiani, perfino a queste fandonie finisce per dare peso. E così, lo spettacolo inguardabile diventa quello dei sindaci e dei presidenti di regione in prima linea e di Palazzo Chigi defilato.

Come se fossimo una sorta di Repubblica federale, quale non siamo. E comunque perfino chi lo è, per esempio la Germania, vede un protagonismo della Merkel a tutti i livelli e non un ritrarsi della cancelliera sulla base di logiche estranee a quelle della difesa in prima persona, ma anche con le fisiologiche interlocuzioni con i poteri periferici, della salute generale. Conservare e accrescere la propria credibilità è un problema serio e le ricette per farlo sono molteplici. Tra queste, sicuramente non c’è quella di nascondersi nelle retrovie.

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