Angelo Ciancarella
Angelo Ciancarella

Il doppio binario/ Se il killer di Fidene è presunto innocente

di Angelo Ciancarella
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Venerdì 16 Dicembre 2022, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:13

Fino a quando si possono considerare presunti innocenti Claudio Campiti e Davide De Pau, assassini di sette donne a Roma nei quartieri di Fidene e Prati nei giorni scorsi? Fino alla condanna definitiva in Cassazione. Quindi non prima di qualche anno.  È sempre la lunghezza del processo penale a rendere poco accettabili, perfino incomprensibili, le regole del codice. Per noi e per gli stessi autori del reato, che dovrebbero essere custoditi e resi inoffensivi sì, ma talvolta sono bisognosi di cure. Esiste un “doppio binario” per i reati di mafia. È allora immaginabile una linea ad alta velocità per i casi “evidenti”, come quelli sopra citati?


Non è solo questione di rispetto della Costituzione e delle Convenzioni internazionali in tema di “ragionevole durata” del processo, che riguarda piuttosto le garanzie per l’imputato e il rispetto per le vittime del reato. Né si tratta di assecondare le aspettative (mutevoli e spesso fallaci) dell’opinione pubblica, affinché i “colpevoli” siano immediatamente individuati e condannati alla pena che meritano. Le inefficienze delle regole e dei comportamenti non dovrebbero mai mettere in discussione i princìpi di civiltà giuridica e il rispetto comunque dovuto alle persone, anche colpevoli. Una cosa è sicura: gli squilibri tra regole, sanzioni e sicurezza sono dannosi. L’accertamento della colpevolezza, la tempestività del giudizio e l’effettività della pena (non necessariamente detentiva) rappresentano l’altra faccia della presunzione di non colpevolezza (della quale si è scritto qui il 24 novembre). Il codice già ora prevede il processo per direttissima quando l’autore del reato sia colto in flagrante (e anche in seguito, in caso di confessione). Su richiesta del pubblico ministero il giudizio può essere perfino contestuale all’udienza di convalida dell’arresto, cioè entro due giorni. Certo, l’eventuale condanna non è definitiva e coincide spesso con la remissione in libertà del colpevole, quando la pena sia inferiore a quattro anni: quasi sempre, in questo rito poco utilizzato.


Il giudizio direttissimo andrebbe dunque potenziato, ma per i reati più gravi è quasi sempre impossibile. Non soltanto per la maggiore complessità del loro accertamento, ma anche perché il processo, oltre a individuare l’autore del fatto, deve definirne il grado di responsabilità (soprattutto nei reati associativi o in concorso tra più imputati), graduare la pena in base a molteplici circostanze attenuanti e aggravanti, considerare se l’imputato sia punibile o meno: il codice penale (fin dal 1931! Ma anche il codice Zanardelli del 1887) dispone che «Nessuno può essere punito se, al momento in cui ha commesso il reato, (non aveva) la capacità d’intendere e di volere».

L’infermità di mente può essere anche momentanea (per esempio da ubriachezza o intossicazione fortuita) o parziale, e in questo caso determina una riduzione di pena. Ma il codice saggiamente (e con preveggenza) nega l’impunità a «chi si è messo in stato d’incapacità d’intendere o di volere (proprio) al fine di commettere il reato». Lo stato di incapacità momentaneo o permanente potrebbe essere invocato anche nei due casi di omicidio plurimo a Roma, con relative perizie lunghe e complesse.


È allora inevitabile che a reati gravi debbano corrispondere processi lunghi, anche quando il colpevole sia certo e magari abbia pure confessato? Perché non sdoppiare il giudizio? Il primo limitato al fatto commesso (che ben potrebbe essere immediato, in presenza delle condizioni già ora previste) il secondo per determinare il grado di responsabilità e la misura della pena. La pronuncia immediata di colpevolezza, provvisoriamente esecutiva in base al rischio di reiterazione del reato e in generale di pericolosità sociale, non sarebbe definitiva ma potrebbe diventarlo in tempi brevi, proprio per il suo carattere circoscritto (che potrebbe perfino escludere l’appello e consentire solo il ricorso per Cassazione). 


La proposta non richiede modifiche costituzionali e si ispira alla stessa filosofia adottata per sconfiggere il terrorismo, quando le persone trovate in possesso illegittimo di armi venivano immediatamente processate per direttissima e condannate, per essere poi sottoposte a indagini più complesse sui fatti di terrorismo e i reati associativi. Qualche analogia si riscontra anche con il processo americano, dove la giuria si occupa del fatto ed emette il verdetto sulla sola colpevolezza (istituto estraneo al nostro ordinamento, ma incluso dal ministro Nordio nel programma di legislatura per la giustizia). Certo, molti profili andrebbero approfonditi e disciplinati, dalla presenza o meno dei giudici popolari (oggi presenti nelle corti d’assise) alle conseguenze della eventuale non punibilità successivamente accertata (ma anche ora i socialmente pericolosi sono sottoposti a misure di sicurezza). È proprio il compito di giuristi e legislatori: trasformare in norme le proposte ritenute utili e prevenire i problemi nella loro applicazione.
 

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