Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

La questione Italia Centrale così lontana dalla politica

di Luca Diotallevi
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Sabato 11 Giugno 2022, 00:04

Un atto della Corte dei Conti ha provato ad accendere un faro sulla lentezza con cui procede il raddoppio dell’Alta Velocità tra Termoli e Lesina, nella tratta Bologna-Lecce: 32 km di raddoppio che, nel migliore dei casi, richiederanno un quarto di secolo e che stanno procedendo alla velocità teorica di 781 metri all’anno. Il faro della Corte dei Conti ha illuminato per l’ennesima volta la gravità e l’urgenza della questione dell’«Italia Centrale». 


La frammentazione del tessuto istituzionale (politico, ma anche economico e sociale in genere) riduce la probabilità di risposte strategicamente adeguate. Il trionfo della ideologia del “borgo” e del “piccolo è bello” ha il suono di una campana a morto per un’area che avrebbe invece il suo punto di forza nelle 33 città con più di 50mila abitanti. Le autorità regionali, cinque (sei con il Molise), potrebbero anche non essere troppe, ma solo se non fossero la copia l’una dell’altra e se non funzionassero alla rovescia: se non si ponessero come una cappa che soffoca le città invece che porsene al servizio.

Non si è ancora affermata la coscienza collettiva del valore geopolitico dell’Italia Centrale. È dal futuro di questa che dipende se il lato sud “reale” della Unione Europea si ritrarrà sino al Po oppure no. In un certo senso, la questione «Italia Centrale» è previa rispetto alla stessa questione meridionale. A parità di risorse investite al sud, le probabilità di successo aumentano se quell’area può agganciarsi a dinamiche di sviluppo territorialmente prossime. La riprova di questa “legge” è il caso del sud adriatico. La Puglia poteva collegarsi ad un corridoio virtuoso che da Pesaro corre sino a Pescara-Chieti. Aver percorso un’autostrada nel sud della Spagna fa pensare che la Ue possa spostare sempre più a sud i suoi confini meridionali “reali”; pensare a quello che è successo in Grecia fa venire in mente pensieri opposti. Che ne sarà del Centro Italia? E’ irrimediabilmente avviato ad un progressivo spegnersi, ad una “bevagnizzazione” da cui forse si salverà solo lo stretto corridoio adriatico?


Il pezzo del Messaggero sui ritardi della tratta Pescara-Bari dei giorni scorsi ci ha ricordato che, per ovvie ragioni, in casi di emergenza si tende a destinare finanziamenti aggiuntivi ad interventi già avviati. Il ritardo in sede di progettazione e realizzazione che caratterizza l’area dell’Italia Centrale pesa due volte, la seconda perché attiva una spirale negativa.

Far poco e male, causa far sempre meno.


Se l’Italia Centrale va ridisegnata, e non solo nel suo interesse, ma anche in quello dell’Italia intera e della Ue, di questo nuovo disegno le città medie sono i punti e le infrastrutture le linee che vanno tracciate tra questi per far emergere il nuovo profilo. Qualità urbana e aggiornamento della trama delle infrastrutture (ferrovie, strade, porti aeroporti, connessioni telematica ultraveloci e ultracapienti, istituti di ricerca) meritano il vertice della agenda. Le dimensioni dell’area non consentono e non richiedono doppioni né mance a pioggia, ma dislocazioni strategiche, qualificazione estrema, concentrazione, collegamenti globali e locali.
Ciò richiede coralità e coordinamento, non uniformità, né rigidità, e, proprio per questo, maggiore comunicazione. Non è paradossale che i sindaci delle città medie (costretti dalle “cose” a capire che l’autosufficienza è una illusione) si mostrino più pronti al cambio di registro dei presidenti di regione (che, illudendosi, tendono a pensarsi più come micro-stati che come agenzie di servizi alle città dalle competenze a geometrie variabile).


E’ urgente aiutare il paese intero a “vedere” la questione, a “vedere” la realtà del quadrilatero Lucca-Pesaro-Pescara-Roma, a “vedere” le enormi potenzialità inespresse della metà sud-orientale di questo quadrilatero, il triangolo Civitavecchia (e nodo di Tiburtina) / polo Falconara-Pesaro-Ancona / Pescara-Chieti. Servono griglie adeguate per la accumulazione della conoscenza socio-economica, serve una comunicazione pubblica mirata, innanzitutto in termini di comunicazione istituzionale e politica.


È urgente dare un volto, un tavolo ed un indirizzo alla “questione Italia Centrale”. Mi si conceda un esempio un po’ grossolano: non aiuterebbe che tra le strutture agili della Presidenza del Consiglio ve ne fosse una occupata da un “Figliuolo per l’Italia Centrale” (come fu per il Covid)? Non per sostituire, ma per incalzare le istituzioni locali e per richiamare l’attenzione delle forze politiche e delle istituzioni nazionali ed europee.
E poi è urgente decidere. E decidere significa scegliere, e scegliere significa darsi priorità ed affrontare dissensi. E dunque è urgente che almeno qualche forza politica nazionale si intesti la “questione dell’Italia centrale”.

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