«Preso per ambulante e cacciato via dal negozio». Ma è un famoso ballerino. Denuncia di razzismo a Perugia

Afshin Varjavandi denuncia un episodio di razzismo di cui è stato vittima
di Egle Priolo
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Sabato 13 Aprile 2024, 08:40

PERUGIA - «Ho aperto la porta del negozio. La commessa mi ha guardato e mi ha solo detto “No”. “In che senso?”, ho chiesto. “Non abbiamo bisogno di niente”». Preso forse per un venditore di rose o di accendini, ma in ogni caso invitato seccamente a uscire dal negozio. Un episodio «sgradevole» che il suo protagonista vuole denunciare: «Non lo posso lasciar scivolare nel nulla, perché è inconcepibile che nel 2024, a Perugia, sede dell'Università per stranieri, accadano queste cose. Da chiamare con il loro nome: è discriminazione razziale».

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A parlare è Afshin Varjavandi, noto ballerino e coreografo di Perugia, anima di InNprogressCollective, la compagnia scelta da Giuseppe Tornatore per una scena danzata del film “La Corrispondenza”. Maestro di hip hop per diverse generazioni di perugini, cuore e gambe di tante scuole di danza in città, ha ballato pure per il videoclip di “Solo” di Marco Mengoni. Insomma, un curriculum che parla da solo. Ma evidentemente il colore «meno bianco» della sua pelle ha parlato per la commessa. Nonostante sia cittadino italiano, in Italia da quando aveva 5 mesi, a Perugia dal 1998, i lineamenti che raccontano delle sue origini iraniane hanno convinto la donna che, no, non era una persona ben accetta nel negozio. «E sono io, questo, a non accettarlo».
«È successo l'altro pomeriggio – racconta tra lo stupore, il rammarico e la rabbia Varjavandi -. Camminavo in centro e una vetrina mi ha colpito. C'erano delle borse che mi piacevano e ho deciso di entrare nel negozio. Appena ho aperto la porta, la signora alla cassa mi dice “No”. In che senso, ho chiesto. “Non abbiamo bisogno di niente”. In che senso, ho ripetuto. “Io ogni volta che vedo persone un po' così...”. Così come? Vada avanti, le ho chiesto ancora. A quel punto mi ha detto che senza occhiali non vedeva bene. E io non ci ho visto più. Le ho risposto: “Lei non mi conosce, non sa che lavoro faccio, non conosce il mio impegno sul territorio, io insegno danza alla famiglie di Perugia. È una gran maleducata”. Ho chiuso la porta e sono andato via».
Ma nonostante lo sfogo, la sua rabbia con le ore è cresciuta. «È stato un atteggiamento razzista – insiste -.

Quando mi ha parlato di “gente un po' così” mi ha squadrato da capo a piedi, mi ha lasciato intendere che fosse tutto di me a non andar bene. Dai lineamenti meno “bianchi” a un abbigliamento non in giacca e cravatta». In particolare, jeans e felpa «però di Balenciaga». Per dire.

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Il racconto del ballerino

«Questo episodio mi ha fatto molto riflettere – prosegue - perché non riesco a credere che Perugia, capitale di Umbria jazz, che celebra la cultura nera, ospiti negozi condotti in questa maniera. Quindi ho deciso di scrivere all'assessore regionale alle Politiche antidiscriminazione per raccontare questa storia. E ho contattato anche un avvocato perché, per legge, non si può proibire l'accesso e gli acquisti a un cliente». Anche se con minor fama o con felpe del mercato.
In centro, dopo le ultime rapine con dipendenti strattonate da falsi clienti ingolositi da vestiti e profumi, l'attenzione verso chi entra nei negozi si è fatta certamente più alta: questo il dubbio che potrebbe aver portato la commessa a un'uscita poco felice? Varjavandi ha meno dubbi: «Lei mi ha guardato e con le mani mi ha disegnato in quel “un po' così”. È il pregiudizio per antonomasia. Tra l'altro, nel negozio c'erano anche altre due dipendenti e una cliente. Sono stato discriminato, per un pregiudizio atroce, davanti ad altre persone. E non mi sta bene. Non ci vedo nessuna giustificazione, nemmeno l'eventuale paura del rapinatore. Anche perché sono un appassionato di moda». Insomma, per la commessa avventata si ricorda un po' la scena di Pretty woman: di certo ha perso un cliente. Per un «grosso, grossissimo errore».

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