Welfare, la funzione sociale dei benefit viene prima del vantaggio fiscale

Nel prossimo Disegno di legge sul lavoro rimodulazione del welfare aziendale

Welfare, la funzione sociale dei benefit viene prima del vantaggio fiscale
di Marco Barbieri
4 Minuti di Lettura
Venerdì 28 Aprile 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 19 Maggio, 15:30

Nemmeno il Decreto Lavoro sarà il veicolo dell’attesa rimodulazione della franchigia fiscale per il welfare aziendale. La legge di Bilancio e il decreto Milleproroghe non hanno introdotto alcun intervento, e da gennaio – dopo la fiammata dai 600 ai 3000 euro – la soglia di detassazione dei fringe benefit è tornata ai 258,23 euro per dipendente, come nel 1997.

Tuttavia, il presidente di Aiwa (l’associazione che rappresenta i maggiori provider di welfare aziendale), Emmanuele Massagli, ritiene che il tema non sia trascurato dall’attuale governo. «Il problema non è l’assenza di pensiero, quanto, per ora, la carenza di azione. Il welfare aziendale dovrebbe essere trattato nel disegno di legge sul lavoro che la ministra Calderone ha annunciato per qualche settimana dopo il varo del Decreto Lavoro e che potrebbe andare in approvazione prima dell’estate. Noi ci auguriamo possano essere ampliati i beni e servizi di cui all’art.51 comma 2 del Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e strutturata definitivamente la soglia dei fringe benefit. In questo senso abbiamo visto emendamenti al Decreto cosiddetto bollette, che tracciano una strada interessante e, ancora una volta, bipartisan, perché il tema è rilevante per tutti: lavoratori e imprese; destra, sinistra e centro».

Cosa sono i fringe benefit? Dall'auto aziendale ai buoni pasto: a chi spettano e come funzionano

C’è chi immagina che possa non bastare un semplice intervento sulla franchigia fiscale. Francesco delli Falconi, commercialista, esperto di welfare e di welfare aziendale, ritiene che siano maturi i tempi per una norma «che definisca il welfare aziendale, che non è nemmeno menzionato nel Tuir. Definizione, indicazione delle modalità di erogazione, indicazione dei servizi direttamente erogati ai dipendenti. A oggi il provider è solo il soggetto pagatore delle prestazioni. Occorre ribadire nella norma le reali esigenze socio-assistenziali del welfare aziendale, che non può essere considerato una integrazione del reddito».

RISCRIVERE LE NORME

Il tema è spinoso, perché deve incrociare i criteri che giustifichino una norma di favore fiscale. Bisogna spingersi a modificare anche la struttura della busta paga? «La busta paga è un documento formale, per quanto importante, che certamente con il tempo dovrà essere rivisto. È tuttavia più interessante la dimensione sostanziale – aggiunge Massagli - il welfare aziendale è già sintomo del cambiamento della natura del rapporto di lavoro e del suo significato.

Sempre di più i servizi vanno acquisendo centralità accanto alla tradizionale retribuzione monetaria».

Una piccola grande rivoluzione sulla materia – cristallizzata dal 1997 – l’abbiamo avuto prima nel 2008, poi con la Legge di Bilancio del 2016, quando le misure di welfare aziendale furono agganciate ai Premi di risultato. Ma in questi sette anni è cambiato il mondo. I sette anni passati hanno dimostrato che il welfare aziendale risponde a una domanda reale dei lavoratori. Non si spiegherebbe altrimenti la crescita del 487% dei piani di welfare aziendale negli ultimi cinque anni. «La pandemia, inaspettatamente, è stata un acceleratore perché ha permesso di cogliere con meno equivoci la natura sociale del welfare aziendale. In futuro – continua Massagli – mi aspetto una riscoperta di questa originaria funzione sociale, da realizzarsi soprattutto mediante l’ampliamento dei beni e servizi di cui all’articolo 51 comma 2, con l’inserimento delle spese per animali domestici (la richiesta più diffusa), per l’affitto dei figli fuori sede, della mobilità sostenibile (questo è anche citato nella delega fiscale), della possibilità di condividere tra colleghi il credito welfare, perché possa essere ceduto a chi ha maggiori carichi di cura. Insomma, si strutturi definitivamente la soglia dell’art. 51 comma 3 del Tuir su un valore coerente con il costo della vita di oggi (tra i 600 e i 1000 euro), di modo poi da potersi concentrare sul cuore del welfare aziendale, il comma 2».

Certamente servirebbe «una verifica, un’asseverazione delle risorse impegnate e sottratte al Fisco» aggiunge delli Falconi. Intendiamoci, si tratta di risorse solo apparentemente sottratte, perché alimentano il fatturato dei fornitori di servizi di welfare. Una partita di giro che – secondo Aiwa – produce un “più” e non un “meno” nella raccolta dell’Agenzia delle Entrate. Anche per la spirale virtuosa che si genera nei territori.

TRA AZIENDA E TERRITORIO

Le esperienze di dialogo tra welfare territoriale (quasi sempre pubblico) e welfare aziendale sono sempre più frequenti. «Le iniziative interessanti che stiamo monitorando come Aiwa – conclude Massagli - sono di due tipi: uno, più tradizionale, è caratterizzato dalla restituzione alla comunità locale di una percentuale di quanto speso in welfare aziendale in quel territorio. La seconda tipologia è invece organizzativamente più complessa, perché ha bisogno del coordinamento dei servizi sociali, delle imprese e dei fornitori di welfare».

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA