Tornano le regole sui conti pubblici, addio alle misure italiane in deficit

Il peso dei nuovi vincoli sulla prossima legge di Bilancio. Un freno sulle pensioni

Tornano le regole sui conti pubblici, addio alle misure italiane in deficit
di Andrea Bassi
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Martedì 14 Maggio 2024, 06:34

La sveglia è suonata in piena notte. Alle 23 e 59 di venerdì 10 maggio, quando dagli uffici del Tesoro è partita una mail indirizzata alla Commissione finanze del Senato. Dopo quasi un lustro, per la prima volta, il governo ha proposto al Parlamento una misura per contenere il deficit pubblico. Poca roba per i conti italiani, un taglio dell’indebitamento pari solo allo 0,1 per cento del prodotto interno lordo. Due miliardi e mezzo di euro tra l’altro spalmati in due anni attraverso una stretta sui crediti del Superbonus e una mini tassa sulle bevande zuccherate. Ma è il segnale che la ricreazione è finita. Dopo quasi cinque anni in cui tutti i governi hanno potuto finanziare le proprie politiche “a debito”, facendo spesa aggiuntiva per quasi 300 miliardi, torna il vincolo esterno dei parametri europei. Domani la Commissione presenterà le previsioni economiche di primavera. Sarà il primo documento che gli Stati avranno a disposizione per capire la correzione dei conti a cui saranno chiamati con le nuove regole comunitarie. Il 19 giugno, come ha ricordato il Commissario europeo al Bilancio Paolo Gentiloni, ci sarà l’annuncio di un certo numero di procedure di infrazione. E l’Italia, con un debito a ridosso del 140% del Pil e un deficit sopra il 4%, sarà nella lista. L’estate per il governo sarà di lavoro e particolarmente calda. Entro il 20 settembre dovrà presentare ai partner europei il suo Piano di bilancio strutturale. Un documento che dovrà tracciare la rotta che intende seguire sui conti pubblici per tutta la legislatura. Una rotta basata sul contenimento della spesa corrente, e che dovrà mettere sotto stretto controllo le uscite per pensioni, personale pubblico, enti locali, e dalla quale sarà difficile deviare. Lo ha ben spiegato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio la settimana scorsa in Parlamento, dove ha consegnato una lunga e approfondita relazione sugli impatti della nuova governance europea. C’è un punto sul quale i tecnici guidati da Lilia Cavallari si sono soffermati in particolare e riguarda proprio la nuova procedura che dovrà essere seguita dal governo se vorrà deviare dal percorso concordato con l’Europa.

IL PASSAGGIO

Fino ad oggi, in caso di circostanze eccezionali, bastava che il governo si facesse autorizzare il nuovo deficit dal Parlamento a maggioranza assoluta dei presenti, “sentita” la Commissione europea. La scorsa legislatura, con i governi Conte e Draghi, il Parlamento ha autorizzato ben 18 scostamenti. Il governo Meloni ne ha chiesti e ottenuti altri tre. Sono serviti a finanziare tutte le misure degli ultimi cinque anni: dall’emergenza sanitaria, al Superbonus, agli aiuti per le bollette fino al taglio del cuneo contributivo. Questa stagione è finita. Dai nuovi Piani strutturali di Bilancio si potrà deviare solo se si sarà autorizzati dal Consiglio europeo, quello dove siedono gli Stati membri. «In base alla nuova parte preventiva del piano di stabilità e crescita», ha spiegato l’Ufficio parlamentare di bilancio, «ogni scostamento dal percorso di spesa inizialmente concordato che sia attribuito all’insorgere di eventi eccezionali (o di carattere generale o che interessano il singolo Paese) deve essere preventivamente approvato dal Consiglio della Ue».

Dunque il Parlamento può solo autorizzare una trattativa con il Consiglio, non deficit o nuove spese. Trattative che non saranno semplici. Basta vedere le posizioni da “falco” che la Germania e i Paesi del Nord stanno già assumendo (ieri il ministro delle finanze Lindner ha subito detto il suo «no» a nuovo debito comune europeo e basta sussidi finanziati dai contribuenti).

IL RITORNO DEI FALCHI

Non sorprende, insomma, che a Strasburgo quando c’è stato da approvare le nuove regole di Bilancio quasi tutti i parlamentari italiani si sono astenuti o hanno votato contro. Scrivere in questo quadro la prossima legge di Stabilità non sarà semplice. Servono 18 miliardi di euro solo per rifinanziare il taglio del cuneo contributivo, il bonus mamme e le altre misure in scadenza a fine anno. Se non si potrà fare deficit, le risorse andranno trovate con nuove entrate o con tagli di spesa. Interventi mai popolari. L’emendamento di venerdì notte è stato un antipasto. Per correggere il deficit, le detrazioni per i lavori di ristrutturazione edilizia sono state riportate al 36 per cento dall’attuale 50 per cento, e dal 2028 scenderanno al 30 per cento. Così come scenderà da 96 mila a 43 mila euro il tetto per la detrazione. È un primo taglio delle spese fiscali, sempre annunciato ma che mai nessun governo aveva attuato. Ce ne saranno altri. Anche l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto, che sarà “riformata” potrebbe candidarsi a fornire nuove entrate. Poi c’è il capitolo spesa, ancora più delicato. All’inizio dell’estate la Commissione presenterà il “Codice di condotta”, le regole attuative del nuovo Patto. Già si sa che sarà chiesto un «aggiustamento maggiore» non solo per i Paesi ad alto debito o deficit, ma anche per quelli con «passività potenziali legate all'invecchiamento». Insomma per la prima volta sarà evidenziato esplicitamente come un aumento atteso in futuro della spesa per le pensioni - legato all'invecchiamento della popolazione comporterà uno sforzo fiscale maggiore. E l’Italia di certo non guida le classifiche della natalità. Meglio scordarsi riforme che anticipino l’età di uscita.

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