Stellantis, sul futuro delle fabbriche italiane confronto duro con i manager francesi

Uno scorcio di una fabbrica Stellantis in Italia
di Diodato Pirone
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 14 Aprile 2021, 20:01 - Ultimo aggiornamento: 20:11

Giovedì a Torino si apre il cantiere della ristrutturazione industriale più importante per l'Italia: quella delle fabbriche ex-Fiat. Vi sono coinvolti 50.000 dipendenti diretti e altri 200.000 dell'indotto. Da gennaio queste fabbriche sono inglobate nella galassia Stellantis Enlarged Europe assieme a 17 stabilimenti  di assemblaggio ex-Peugeot  in Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e nell'Est Europa. Il cambiamento epocale è segnalato da un enorme allarme nei quadri e negli operai ma anche nei territori, in particolare nel Centro-Sud, dove le fabbriche Fiat sono un pilastro sociale.

Per la prima volta oggi i sindacati italiani incontreranno il nuovo management europeo Stellantis che è guidato da un brillante ingegnere francese: Maxime Picat. Con lui tenteranno di mettere a fuoco le linee della ristrutturazione che tutti danno per scontata perché le fabbriche italiane bruciano denaro tranne quella abruzzese, la Sevel, che sforna i furgoni Ducato e che era già per metà francese. Stellantis finora ha varato generici tagli dei costi, scanditi da operazioni minimali che però hanno generato un grandissimo malcontento.

I contratti delle ditte di pulizia sono stati dimezzati; a Mirafiori è stata chiusa una parte dei bagni e si parla di tagli alla vigilanza (settore intoccabile nella vecchia gestione); a Cassino una lavorazione esterna è stata internalizzata generando 20 cassaintegrati della ditta esclusa. Ma è a Melfi, in Basilicata, finora  fiore all'occhiello per via della produzione di due Jeep (Compass e Renegade) e della Fiat 500X che arrivano i segnali peggiori: al taglio della pulizia si è aggiunto un lungo periodo di cassa integrazione. Poi gira voce dell'eliminazione delle seconda linea produttiva, modernissima, installata appena 18 mesi fa. Secondo i sindacati un'operazione del genere comporterebbe la perdita di 2.000 posti di lavoro ma soprattutto, pur permettendo risparmi per una ventina di milioni di euro perché la linea rimanente lavorerebbe al 100% delle sue capacità, segnerebbe il ridimensionamento di una fabbrica-modello rispetto ad altre - come ad esempio Cassino e Grugliasco - che lavorano al 20% delle loro capacità.

La domanda chiave dell'incontro, insomma, sarà: che logica segue Stellantis per le fabbriche italiane? Davvero il "padrone francese" intende ridurre la già modesta produzione di auto "made in Italy"? I numeri parlano chiaro: l'anno scorso l'Italia ha sfornato appena 720 mila autoveicoli contro i 2,5 milioni della Spagna dove Stellantis è il primo produttore. Il profilo dell'appuntamento, dunque, travalica i classici confini del confronto sindacale. E verrà seguito con attenzione soprattutto dai vertici e dai quadri italiani di Stellantis alle prese con una situazione inedita perché l'impero Fca, nonostante il boom in America, restava italo-centrico.

Picat, in effetti, ha introdotto uno stile di lavoro molto diverso da quello italiano. Già Marchionne aveva di molto ridotto la catena gerarchica ma ora nell'azienda si respira una informalità totale a dispetto di ogni residuo di stile sabaudo: tutti parlano con tutti, Picat compreso, senza problemi. L'azienda è improvvisamente diventata fabbrico-centrica nel senso che la nuova catena di comando, elementare, assegna ai direttori di stabilimento enorme autonomia.

Gli stabilimenti italiani sono gemellati ad altri ex-Psa per scambiare le migliori pratiche di produzione ma in questo quadro i direttori degli stabilimenti devono raggiungere alcuni obiettivi, come lo facciano sono affari loro. Finora era Torino a disporre le scelte più importanti.

Questa rivoluzione sta generando un generale sconcerto. Anche perché le fabbriche Fiat, ristrutturate da Sergio Marchionne per produrre auto premium e semi-premium come Alfa Romeo, Maserati e Jeep, sono imbottite di robot e di laser e hanno un sistema di lavoro, il World Class Manufacturing, sofisticato e che punta al coinvolgimento dei dipendenti. Le fabbriche Peugeot sono invece essenziali, hanno anche loro ottime tecnologie, ma lo stile di lavoro è rimasto quello che la Fiat ha superato 15 anni fa, semplice e poco coinvolgente.

Il confronto fra le due culture è ancora in corso. Gli italiani tendono a preservare la parte migliore del Wcm come ad esempio la capacità di gran parte dei dipendenti, anche operai, di calcolare il cost deployement, ovvero i costi del tempo e delle lavorazioni in modo tale da poter modificare le operazioni in linea di montaggio per generare più valore aggiunto. I dirigenti francesi fanno invece valere i loro risultati: le fabbriche transalpine infatti, pur con un costo del lavoro alto sono tutte in attivo, mentre quelle italiane sono quasi tutte in passivo. L'anno scorso - un anno estremo ma indicativo - Peugeot ha registrato in Europa un utile di 2,5 miliardi e Fca Italy un rosso valutabile in un miliardo di euro sia pure attenuato da perdite ridotte nell'ultimo trimestre.

Le due delegazioni inizieranno a valutare anche le strategie della nuova società. Che, pur in un mercato difficile, sta andando bene. Nei primi due mesi del 2021 in Europa Stellantis ha battuto Volkswagen come vendite conteggiando anche i veicoli commerciali. In Brasile, nel primo trimestre, la società è ad un passo da uno strepitoso 30% del mercato e in America soprattutto Jeep ma anche Alfa Romeo hanno ottenuto buoni risultati. In questo scenario per l'Italia sono in arrivo due nuovi modelli: la Maserati Grecale a Cassino, e l'Alfa Romeo Tonale a Pomigliano. Quest'ultimo progetto è in revisione, con l'obiettivo di abbassarne i costi, e in questo quadro radio fabbrica riferisce di un possibile modello gemello a marchio Chrysler per il mercato Usa. Ma questo non basta a attenuare la cupezza dell'umore che avvolge le fabbriche ex-Fiat.

© RIPRODUZIONE RISERVATA