Il crollo delle nascite minaccia il Pil: nel 2061 nel Sud indice giù del 40%

Gli effetti della denatalità sull’economia: con meno lavoratori affonda la produzione. Nello studio presentato a Istat e Bankitalia dato nazionale del -25%

Il crollo delle nascite minaccia il Pil: nel 2061 nel Sud indice giù del 40%
di Luca Cifoni
4 Minuti di Lettura
Domenica 11 Giugno 2023, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 00:14

L’Italia che perde popolazione è un Paese con meno lavoratori. Che inevitabilmente, senza una scossa sul fronte della produttività, vedrà ridotto anche il proprio potenziale produttivo. Le conseguenze economiche del calo demografico sono già tangibili oggi nella difficoltà delle imprese a trovare personale qualificato, come emerge anche nel caso di una serie di investimenti del Pnrr; ma nei prossimi decenni la caduta del Pil rischia di penalizzare in particolare il Mezzogiorno, allargando il divario con il resto del Paese. Un esercizio di simulazione realizzato da Gian Carlo Blangiardo, già presidente dell’Istat, apre uno squarcio inquietante sul futuro: per effetto della riduzione dei potenziali lavoratori, nel 2061 l’intero Paese rischia una caduta del prodotto, a parità di altre condizioni, dell’ordine del 25 per cento; caduta che nelle Regioni meridionali potrebbe però superare ampiamente il 40.


L’INCONTRO
Il tema è stato nei giorni scorsi al centro di un incontro di studio organizzato da Banca d’Italia e Istat.

Dai vari contributi emerge un messaggio univoco: il calo della popolazione in età lavorativa richiede - per essere tamponato - un aumento del tasso di occupazione in particolare di donne e giovani ed anche un’attenta politica migratoria. Ma questi fattori, per quanto importanti, non saranno sufficienti ad impedire una riduzione del prodotto interno lordo se il nostro sistema produttivo non sarà in grado di mettere in campo un consistente aumento della produttività: aumento che però a sua volta è reso più difficile proprio dal fatto che intanto cresce l’età media dei lavoratori. Insomma, è una corsa in salita.


GLI INDICATORI
La simulazione presentata da Blangiardo rende l’idea dello scenario a cui siamo avviati. L’idea è semplice: secondo le previsioni dell’Istat la popolazione in età compresa tra i 15 e i 64 anni è destinata a ridursi di circa dieci milioni di unità nei prossimi quarant’anni. Supponendo che gli altri indicatori (tassi di partecipazione e di occupazione e produttività) restino costanti, quale sarà l’impatto di questo calo sul prodotto interno lordo? I punti di riferimento temporali sono due, uno intermedio (2041) e uno finale (2061). In poco meno di quarant’anni la contrazione del Pil totale sarà di quasi 500 miliardi in valore assoluto, qualcosa come il 25 per cento in meno. Ma l’analisi per Regioni suggerisce che il danno, oltre ad essere più che consistente di per sé, sarà anche differenziato nei vari territori. Con l’ulteriore effetto negativo di amplificare i divari che già esistono. Maggiormente penalizzate sono le Regioni del Mezzogiorno e questa non è una sorpresa: Sud e Isole sono le aree del Paese maggiormente colpite dalla prevedibile riduzione della popolazione assoluta. Oltre al crollo della natalità, soffrono infatti di un saldo migratorio più sfavorevole: sia perché risultano meno attrattive per gli stranieri, sia perché vivono (e presumibilmente vivranno ancora) la fuga di una quota rilevante di giovani, sia verso l’estero che verso le altre Regioni del Paese.
Così la perdita di Pil stimata per il 2061 supera il 40 per cento in Puglia, Sardegna, Basilicata, Molise e Calabria. E si avvicina a questa soglia anche in Sicilia e Campania, che pure hanno una tendenza demografica relativamente meno drammatica. Dall’altra parte della classifica ci sono Regioni che riescono a limitare i danni: per il Trentino-Alto Adige il calo è a una cifra (-7,5%) mentre per Emilia-Romagna e Lombardia è attorno al 15.
LA SILVER ECONOMY
Un altro interessante esercizio di stima riguarda i consumi, altra grandezza pesantemente condizionata dalla riduzione della popolazione. In questo caso il metro di misura sono le “unità di consumo”, calcolate in base alla scala Ocse tenendo presente della numerosità delle famiglie e dei loro componenti. Anche in questo caso la tendenza è alla riduzione, ma ci sono alcune Regioni che riescono ad avere valori leggermente positivi: oltre al Trentino anche Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Proprio il contributo dei consumi, che in buona parte saranno di una popolazione più anziana, è ritenuto un importante antidoto alla contrazione dell’economia. È la famosa silver economy su cui sempre più aziende si stanno già orientando.

(1-continua)
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA