L'euforia sembra archiviata. Questo è certo. Più difficile dare misurazioni coincidenti. Si passa dal 78% dei lavoratori italiani che «vuole tornare in ufficio appena possibile» (secondo il Randstad Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro di Randstad) al 40% che si dichiara contento «all’ipotesi di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza» (secondo il report compilato dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro).
MISTICA ED ÉLITE
«Intorno al presunto smart working – sostiene Luca Pesenti dell’Università Cattolica – si è creata quasi una mistica. Tutti potranno lavorare da qualunque posto. Ci sono state le suggestioni dei borghi più belli d’Italia che si candidano a residenze professionali. Si lavora dalla spiaggia (quando sarà il momento) così come dalla baita in montagna (connessione Internet permettendo). Tutto vero? Io credo che dovremo ridimensionare aspettative e prospettive. Di certo un cambiamento radicale ci sarà, ma lo smart working avrà una componente elitaria, quando il distanziamento sarà finito». A dire il vero anche i grandi player del web, Google in testa, scommettono sul ritorno dei lavoratori in azienda e investono su nuovi immobili, contraddicendo coloro che vorrebbero spazi aziendali ridotti. Più facile immaginare che nascano soluzioni ibride. Alcune aziende in Italia hanno già siglato accordi sindacali in questo senso – da Bayer a Vodafone – segnando la “rivoluzione del cartellino”, cioè cancellando definitivamente l’obbligo di “timbrare” la presenza. Ma non siamo approdati nel mondo dell’utopia del “nuovo” lavoro, come a volte preconizzava uno dei più convinti apostoli dello smart working, Domenico De Masi. «Lo smart working chiama in causa il tema della misurazione del complessivo apporto professionale di ciascuno – commenta Giovanni Scansani, consulente d’impresa, esperto di welfare aziendale – Quest’ultimo non potrà che essere sostenuto dallo sviluppo delle competenze e delle capability delle persone, il che ci dice che nello smart working il solo controllo delle performance è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Il salto concettuale da fare è quello di andare oltre e di saper misurare anche la crescita del “capitale” espresso da ogni lavoratore. In assenza di ciò ben difficilmente potranno riconoscersi quegli spazi di autonomia sempre rivendicati dai sostenitori dello smart working, ma che rischiano, in assenza di tali premesse, di essere solo mitologici». STRESS E DISAGI
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