Quante possibilità ci sono di invertire la drammatica tendenza italiana alla denatalità?
Non moltissime, ad essere realisti. Ma una cosa è certa: le speranze di farcela sono destinate a ridursi ancora di più (o ad azzerarsi) se in questo sforzo collettivo non saranno coinvolte le aziende. E in generale tutti i datori di lavoro, compresi quelli pubblici. La buona notizia è che questa consapevolezza sta aumentando: il tema del declino demografico sembra aver conquistato un’attenzione un po’ meno passeggera e sempre più imprese si pongono il problema. Qualcuna lo fa magari per migliorare la propria immagine; ma parecchie iniziano a capire che creare un ambiente di lavoro più orientato alla famiglia può essere conveniente. Anche in termini di produttività.
L’INIZIATIVA
Negli ultimi tempi le iniziative sono molte. Alcune in realtà affondano le proprie radici nel tempo. È il caso del Family Audit, uno standard di certificazione (con tanto di marchio) nato nella Provincia autonoma di Trento, che si è poi diffuso nel resto del Paese. Si tratta di una sorta di “bollino blu” assegnato ai datori di lavoro che mettono in atto misure di welfare aziendale e di conciliazione vita-lavoro, con l’obiettivo di incrementare il benessere dei propri dipendenti ma anche di metterli in condizione di vivere meglio la propria dimensione familiare. E quindi in prospettiva di favorire la natalità. Tra le azioni inserite nei piani di aziende ed enti pubblici figurano misure di flessibilità sia in entrata che in uscita, potenziamento dei congedi in particolare per i papà, banche delle ore a disposizione dei genitori, ulteriori assicurazioni sanitarie per le neo-mamme. Spesso, accanto a sostegni monetari più o meno sostanziosi, risultano utili anche piccole accortezze. Un esempio classico, ma sempre attuale, riguarda gli orari delle riunioni: quelle programmate nel tardo pomeriggio possono risultare penalizzanti per chi ha uno o più bambini a casa. Sul Family audit, oggi gestito dall’Agenzia per la coesione sociale diretta da Luciano Malfer, sono state siglati già negli anni scorsi protocolli tra la Provincia autonoma e il Dipartimento della Famiglia di Palazzo Chigi.
IL PERCORSO
Lo scorso mese Family Audit e Reflex sono stati al centro di un evento nell’ambito del Forum PA. È stata l’occasione per illustrare l’impatto concreto delle iniziative messe in atto dalle aziende. Così tra i moltissimi dati presentati da Malfer spiccano quelli relativi ai cambiamenti registrati in 147 organizzazioni nel periodo che va dall’inizio del percorso al rilascio dei certificati: crescono gli occupati con orario personalizzato o altre forme di flessibilità, mentre si riducono malattia dei dipendenti (-11,3%) e ore di straordinario. Insomma soddisfazione dei dipendenti e produttività possono andare a braccetto. Tra le aziende che partecipano a Reflex, Danone (intervenuta al Forum con la direttrice Risorse umane Sonia Malaspina) può vantare una natalità superiore alla media nazionale, il 100 per cento delle mamme che torna al lavoro dopo il congedo e dei papà che hanno usufruito dei loro 20 giorni, una quota del 54 per cento di donne manager, un tasso di assenteismo del 2 per cento contro un livello italiano del 5,4%. Indicatori che insieme ad altri testimoniano di una situazione di benessere in azienda. Ancora più recentemente il ministero per la Famiglia la Natalità e le Pari opportunità ha lanciato un “Codice di autodisciplina di imprese responsabili in favore della maternità”. Tra le prime aziende ad aderire Plasmon, che oltre ad avere una propria politica aziendale di sostegno alla genitorialità è stata protagonista a febbraio di un’iniziativa ad alta risonanza: il lancio della piattaforma Adamo, pensata per radunare energie in funzione di contrasto alla bassa natalità. La campagna di comunicazione era centrata sull’idea volutamente provocatoria di un’Italia ridotta nel 2050 a veder nascere un solo bambino.