Sono due i dossier ai quali si sta ragionando in Via XX Settembre. E, in entrambi i casi, si tratta di misure sulle quali i tecnici che collaborano con Palazzo Chigi hanno già lavorato. In cima ai pensieri del governo c’è l’idea di rispolverare, con qualche correttivo, il progetto dell’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini che era affondato con la caduta del governo Letta. L’ipotesi (denominata «prestito d’onore») è questa: mandare a riposo le persone alle quali mancano ancora due anni al conseguimento dei requisiti per andare in pensione che impongono 66 anni e 3 mesi di età o 42 di contributi. L’Inps comincia da subito a pagare una pensione piena. E il neo pensionato restituisce, senza interessi, l’anticipo che gli viene concesso sotto forma di mancate contribuzioni rinunciando negli anni a venire a qualche decina di euro al mese sull’assegno previdenziale.
La platea Potenzialmente, sono 300 mila i lavoratori prossimi al riposo che potrebbero essere coinvolti in questa operazione. E, per fare un esempio, un 64enne (o un individuo un po’ più giovane con 40 anni di contributi) e un salario lordo di 30 mila euro annui, potrebbe andare subito in pensione. L’Inps si farebbe carico di circa 5 mila euro di contribuzione accollandosi così anche la parte (di regola un terzo) che spetta al lavoratore. Poi per circa 15 anni l’assegno mensile (con un importo medio di 1.200 euro) sarebbe decurtato di 25-30 euro. Fino alla completa restituzione del prestito iniziale. Le stesse regole varrebbero anche per le donne che, dal 2018, saranno equiparate agli uomini in fatto di età pensionabile. Al dossier lavorano Palazzo Chigi, Inps e ministero del Lavoro. E lo stanno facendo nel quadro di un’operazione più ampia che punta a favorire meccanismi di flessibilità in uscita. Da alcune simulazioni, emerge che un piano di questa portata costerebbe 1,5 miliardi allo Stato. Ma questa cifra (un problema non da poco visto che si parla di flusso di cassa) sarebbe ridotta dalle entrate fiscali derivanti dai prepensionamenti. E comunque si tratterebbe di soldi destinati a rientrare.
La seconda soluzione per cercare di venire a capo del problema esodati è riproporre una norma, poi stralciata dal governo, contenuta nel Ddl sulla riforma della Pa. Il provvedimento prevedeva per tutti i lavoratori, pubblici e privati, di poter lasciare l’impiego in anticipo (opzione già prevista per le donne) rispetto ai requisiti previsti dalla legge Fornero. In pratica, in pensione a 57 anni con 35 di contributi per i lavoratori dipendenti e a 58 anni sempre con 35 di contributi per gli autonomi. Ma con un assegno calcolato con il metodo contributivo e non retributivo in base all’ultimo stipendio. La perdita sarebbe in media del 25-30% sulla pensione.