Quest'America
di Anna Guaita

La pena di morte: alcuni Stati non ci rinunciano

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Giovedì 16 Aprile 2015, 04:08
NEW YORK – Qualche giorno fa sono stata ospite del programma radiofonico RadioTreMondo per una conversazione sulla pena di morte. Il conduttore, Luigi Spinola ha chiesto sia a me che all’altro invitato, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, se pensavamo che la pena di morte diventerà oggetto di dibattito nella campagna elettorale e quale sia l’attuale realtà negli Usa. Sono profondamente d’accordo con Noury, sul fatto che il panorama è molto cambiato: le condanne sono diminuite, le esecuzioni sono la metà di dieci anni fa, e se si eccettuano quei 7 Stati che hanno giustiziato dei condannati negli ultimi 18 mesi (Texas in cima alla lista), tutti gli altri 25 che ammettono la pena capitale non la usano da tempo. Purtroppo sono pronta a scommettere che se mai il tema della pena di morte dovesse entrare nella campagna presidenziale, sarà perché i candidati riaffermeranno la loro convinzione che sia necessaria. E non ho alcuna speranza che la Corte Suprema intenda esprimersi in senso contrario. Il ricorso presentato da tre detenuti dell’Oklahoma, che verrà discusso davanti ai nove giudici il prossimo 29 aprile e deciso entro la fine di giugno, non porterà alla fine della pena di morte negli Usa. Al massimo a un suo ulteriore rallentamento, se la Corte si esprimerà contro l’uso del sedativo Midazolam, che sembra abbia contribuito a causare orribili incidenti durante tre esecuzioni, in Oklahoma, Ohio e Arizona. Il midazolam viene usato perché dal 2011 è in vigore un embargo di fatto delle società farmaceutiche europee verso gli Stati americani che ricorrono alla pena di morte: il tris di farmaci usati per l’iniezione letale, adottato sin dal 1977, non esiste più, e i boia si sono visti costretti a cercare sostituti. E’ successo così che gli Stati hanno fatto ricorso a farmacisti artigianali, tenendone nascosti i nomi e tentando di nascondere anche il contenuto delle iniezioni. L’Oklahoma, l’Ohio e l’Arizona avevano cominciato a usare il midazolam, un sedativo che in genere viene somministrato ai pazienti nella misura di due milligrammi, prima di praticare loro l’anestesia per operazioni chirurgiche. Gli Stati hanno invece pensato bene di iniettare nei condannati 500 milligrammi di questo farmaco, nonostante non fosse mai stato condotto alcuno studio sugli effetti che una simile quantità possa avere sul corpo di un essere umano. Forse hanno pensato: più sedativo, meno dolore. In realtà nelle tre esecuzioni andate male è stato evidente che il condannato non era stato sedato e reso insensibile al dolore. Anzi, mentre gli venivano iniettati il secondo e il terzo farmaco paralizzanti del respiro e del battito cardiaco stava soffrendo, contraendosi sulla barella, emettendo gorgoglii e suoni strozzati. Il ricorso dei tre detenuti dell’Oklahoma si appella proprio a questo fatto: le esecuzioni causerebbero dolore e quindi sarebbero in contravvenzione dell’Ottavo Emendamento della Costituzione che vieta "punizioni crudeli e inusuali”. Gli Stati giustizialisti si trovano dunque in questa situazione: da un canto stanno esaurendo le scorte dei farmaci della iniezione letale tradizionale (il Texas ne ha abbastanza per quattro esecuzioni), dall’altro possono ricevere una sentenza della Corte Suprema che vieta loro l’uso del midazolam come alternativva. Di conseguenza hanno pensato di mettersi a cercare alternative. E l’Oklahoma, che ha il vanto di avere per prima approvato per legge l’iniezione letale (anche se il primo condannato a essere ucciso con questo sistema fu in Texas) sta studiando la possibilità di giustiziare i suoi detenuti asfissiandoli con l’azoto. Altri Stati invece meditano di ripescare metodi caduti in disuso da tempo, come il plotone d’esecuzione, la camera a gas e la sedia elettrica. E’ vero che l’opinione pubblica e il trend nazionale non sono più così appassionati nel sostenere la pena di morte, come negli anni Ottanta-Novanta, ma è evidente che alcuni Stati continueranno a usarla, volerla e difenderla. Come ha detto con grande efficacia Noury: “Ci sono Stati che si ostinano a dare il segnale che bisogna uccidere chi ha ucciso, per dimostrare che non si deve uccidere”.
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